giovedì 28 marzo 2013

OLI 371: SOMMARIO

OLI 371: PAROLE DEGLI OCCHI - Malvinas


Foto di Paola Pierantoni

Con il colloquio tra Papa Francesco e Cristina Kirchner le isole Malvinas (Falkland) 
hanno riacquistato un posto sui nostri mezzi di informazione. 
Nella fotografia Ushuaia, Terra del Fuoco: 
il monumento ai caduti argentini nella guerra delle Falkland del 1981.

OLI 371 - ILVA: Francesca a Cornigliano per raccontare Taranto

Il 22 marzo ha preso un aereo ed è venuta a Cornigliano per raccontare di suo marito e dell’ILVA. Francesca pare abituata a fare questa cosa in solitudine. Ma la sua è una faccenda di coppia. Francesca è una vedova di guerra. Perché a Taranto, da anni ormai, si combatte una guerra con due eserciti, due fronti e molte vittime. Una battaglia prima silenziosa e sotterranea che ha raggiunto visibilità ed impatto nazionale solo quando, un anno fa, la procura di Taranto ha aperto un indagine sull'inquinamento del siderurgico che ne minacciava la chiusura.
Il marito di Francesca si chiamava Antonio Mingolla, era dipendente di una ditta di appalto. E’ morto il 18 aprile 2006, intossicato dal gas con il quale aveva a che fare. Solo a dicembre 2012 la sentenza del tribunale ha stabilito che Antonio è morto perché non sufficientemente informato e formato in materia di sicurezza sul lavoro. Nella sentenza la parola "omicidio colposo" definisce i termini della tragedia.
Francesca Caliolo racconta la sua storia e quella di molti tarantini. L’Ilva è lo zaino che si porta sulle spalle con le morti sul lavoro, la difesa della sicurezza e la denuncia dell’impatto ambientale del siderurgico sulla città. Lei in questa guerra è stata schierata dalla vita, contro quelle morti definite cinicamente fisiologiche in base alle migliaia di posti di lavoro garantite dallo stabilimento.
Al Centro Civico di Cornigliano per la proiezione del docufilm “La svolta, donne contro l’ILVA” e all’incontro a seguire con Francesca si potevano contare prima una ventina, poi meno di dieci persone. Lo sciopero degli autobus può aver causato solo in parte la desolazione di una sala così vuota. Soprattutto perché Cornigliano è stata ed è ILVA. Se lo stabilimento scende in piazza il quartiere si avvita e la produzione di Genova è legata a quella di Taranto come un bambino al grembo della madre.
All’incontro del 22 marzo l’azienda, invitata a partecipare, ha mandato un suo funzionario che, cercando prima parole di comprensione per Francesca, ha ripetuto quello che ILVA ripete da mesi: non siamo i soli ad inquinare a Taranto. Non stupisce che sia stato massacrato anche dai pochi che erano in sala.
Assenti - con l'eccezione di chi scrive - i sindacati metalmeccanici genovesi. Gran parte di loro ritiene che non partecipare a queste iniziative eviti l’acuirsi dello scontro. Sono spesso gli stessi che hanno mostrato forte disappunto per la protesta del Comitato Liberi e Pensanti durante la manifestazione di agosto a Taranto e che si stupiscono del successo di Beppe Grillo alle elezioni.
In aprile l’agenda siderurgica tarantina offre le seguenti scadenze che inesorabilmente riguarderanno Genova:
7 aprile manifestazione nazionale contro la legge definita Salva Ilva
9 aprile pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legge
14 aprile referendum consultivo sulla chiusura parziale o totale dell’Ilva
La siderurgia tarantina, ad oggi, garantisce salario a circa 14mila persone più l’indotto.
L’incontro tra difesa della salute e difesa del lavoro non può prescindere da Francesca e dalla sua testimonianza.
(Giovanna Profumo - immagine dell'autrice)

OLI 371: URBANISTICA - Mal di park in Caravelle

Puc- 2000
La zona rossa è tutta esondabile , anche il marciapiede alla base delle caravelle.
Si deduce che non sia possibile costruire un parcheggio interrato.
Appare, scompare, riappare, su e giù come le onde il progetto delle Caravelle in piazza della Vittoria a Genova, accantonato dopo l’approvazione del Puc del sindaco Vincenzi e la tragica alluvione. Sembrava disperso, invece eccolo di nuovo alla ribalta l’autosilo sotto i giardini in onore di Colombo, ultima certezza che i genovesi hanno come paesaggio cittadino dopo le matitone-grat-en-ciel, che oscurano la vista della Lanterna amata.
Con una proposta-spot il Municipio del Medio Levante ha presentato in Commissione Territorio il Park Caravelle, a cui maggioranza ed opposizione, tranne Sel, hanno dato “parere favorevole”.
Ancora? Già ancora, pur se la precedente Giunta di centrodestra aveva votato il sì al progetto, ci si è presi la briga di riproporlo una seconda volta, senza che nulla fosse cambiato nella proposta. Iter inusuale a dire poco: se ogni volta che cambia "colore" un’Amministrazione, si dovessero rifare i percorsi di approvazione di un progetto saremmo ai castelli medievali, burocraticamente parlando.
La prassi di solito è che il progettista chieda parere al Comune e che lo domandi al Municipio e non viceversa. Nel merito non si è nemmeno entrati, con le tecnologie attuali che importa se fino al marciapiede del liceo Doria secondo il Piano Urbanistico Comunale è “zona rossa”, cioè esondabile, perciò avanti tutta con tre piani di parcheggio interrati e tre sotto la collina delle Caravelle, per 400 posti.
Le motivazioni del sì del Municipio?
Liberare i posti occupati dalla Questura, assegnandogliene 150: sorpresa, neppure è stata interpellata ed è già ospite in un edificio della Provincia, che non ha un soldo, figurarsi se paga i parcheggi per gli impiegati delle Forze dell’Ordine. Così si prospetta l'idea di poter liberare Piazza della Vittoria dalle auto, e chi non la vorrebbe questa bella piazza sgombra! Ma le Società di Parcheggi hanno una concessione sessantennale rinnovabile su questo spazio.Dura convincerle a sloggiare, quando hanno già tre piani sotterranei e due di questi sempre deserti, per un totale di 750 posti. A progetto, gli ascensori interni e le scale mobili ai lati delle Caravelle, tutto a carico del Comune s'intende, potrebbero collegare la Foce all'ospedale Galliera e chi abita su potrebbe venire a parcheggiare giù in piazza. Il nodo di fondo è un altro però, sono gli elettori della Foce, che lamentano carenza di parcheggi. Eppure gli abitanti sono diminuiti: giustamente, c'è l’anziano pensionato bisognoso dell’auto, ma forse ci saranno anche più auto per famiglia, o magari sono stati concessi troppi permessi per zone ai non residenti, d’altra parte però, ormai la Foce è “centro città” con uffici ed esercizi commerciali. Non si sentono ragioni. La Mobilità è prima di tutto quella privata.
Corsie gialle? Ma tolgono parcheggi! E che importa se i bus si devono fermare per le auto in doppia fila. Gli autobus sono meno, è vero, e non per 24 ore, ma dobbiamo battagliare per avere un trasporto pubblico efficiente e non una vita a quattro ruote
(Bianca Vergati)

OLI 371: GOVERNO - Settimo minuto: la fregatura di Grilli scoperta dai grillini.

La "Responsabilità" richiesta al Movimento 5 Stelle sta riempiendo i titoli dei giornali e delle televisioni, e nel video dell'incontro tra i due capigruppo "grillini" e Bersani volano parole importanti.
A margine della discussione su "inciucio si, inciucio no" (oggi in post elettorale definito come accordi si, accordo no, o fiducia si, fiducia no), è interessante l'analisi della capogruppo alla camera Roberta Lombardi su un atto in attesa di discussione in aula per il finanziamento di 40 mld di euro in due anni destinato ai pagamenti dei debiti statali: finirebbero in una quota non definita nelle casse delle banche e non direttamente alle aziende. Per questo atto così importante era stato deciso un iter particolare, per la mancanza delle commissioni, attraverso una commissione speciale. Come mai? Quello che la stampa non dice e che si evince sia da questa relazione che dell'incontro con Bersani è che le Commissioni potrebbero, anzi dovrebbero, essere formate subito, ma si attende la costituzione del governo perché di solito i trombati dell'esecutivo finiscono come presidenti di queste commissioni. Il Movimento ha invece chiesto più volte la loro immediata costituzione, per consentire l'esame delle pratiche prima della votazione in aula secondo un iter normale. La parte relativa all'atto descritto inizia al "settimo minuto".
Fonte: http://www.beppegrillo.it/2013/03/la_porcata_di_fine_legislatura.html#commenti
(Stefano De Pietro)

OLI 371: GRILLO - Confessione di un troll mancato

Ho passato più di un’ora, nel pomeriggio, a leggere il post di Beppe Grillo “I figli di NN” ed una piccola parte della smisurata mole di commenti, oltre 4600 nel momento in cui scrivo, in poco meno di sei ore, molti favorevoli all’attuale linea intransigente del M5S, molti altri variamente critici: sono stato fortemente tentato di intervenire, inserire un commento, magari rilanciando il mio intervento su OLI 370. Alla fine non ci sono riuscito, i post sembrano rispecchiare due visioni inconciliabili della situazione: da una parte chi loda M5S e la sua strategia, dura e pura, decisa a raggiungere il 51% o il 100% dei consensi, dall’altra chi invoca un’assunzione di responsabilità di governo da parte del M5S.
Non sembra esserci alcun dialogo tra le due parti, pare prevalere l’esigenza di dire qualcosa di autoreferenziale e basta: ha senso inserire un ulteriore commento? Poi leggo, in calce al post, il post-scriptum di Beppe Grillo “PS: Si ricorda è nuovamente possibile per gli autorizzati segnalare i commenti dei troll”, e mi coglie l’ansia: esprimere un parere discorde dalla linea ufficiale del M5S equivale automaticamente a rientrare nella categoria di troll? Cos’è un troll? Col termine troll, recita Wikipedia, “nel gergo di internet, e, in particolare, delle comunità virtuali, si indica una persona che interagisce con gli altri utenti tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l'obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi.”
La mia coscienza mi suggerisce di stare tranquillo, mi sento ragionevole, non provocatore, inserirei il mio nome reale, ma basterebbe? Chi sono gli autorizzati a segnalare un troll? Sembra tutti gli iscritti al blog, mentre per postare un commento non è necessario essere iscritti. Ma se mi iscrivessi al blog, potrei denunciare qualche troll? Perché non potrei essere un troll, pur essendo iscritto al blog? La materia è complicata. E se fossi addirittura uno “schizzo di merda digitale”? Sempre meglio che l’equivalente analogico, d’accordo, ma….
Mi salva la visione di un post (di cui riporto l’immagine) delle 17.07 di tal Pedro Cippo (nome reale o trollesco?), che mi ricorda la scena del film Shining in cui Shelley Duvall legge il manoscritto del marito (Jack Nicholson), costituito da pagine e pagine di una ripetizione maniacale ed ossessiva: “il mattino ha l’oro in bocca”.
No, è meglio lasciar perdere. Le parole sono importanti.
(Ivo Ruello - immagini da internet e dal blog di Beppe Grillo)


OLI 371: CIPRO - Dalla Russia senza amore

Erano arrivati in tanti: compravano, affittavano, bevevano, mangiavano. Un fiume di persone che non badavano a spese e così per loro si sono costruiti residence esclusivi tra bouganville e cancellate, cittadine stravolte da centri finto lusso,  pieni di ristoranti, caffè, bar, sale da gioco e boutique grandi firme con prezzi da botto. 
Sono nati dal nulla interi villaggi in riva al mare dove si possono fare le più svariate attività, dal golf al bungee jumping, al surf, lo sci d’acqua o tirare all’alba in locali notturni stile Las Vegas.
Poco importa se un tempo c’era un borgo pittoresco. Ancora  dondolano nell’acqua in qualche angolo del vecchi porticcioli un po' di pescherecci, sono greci i pescatori  che riforniscono gli affamati ristoranti.
Ma non sono di  pesce i piatti dell’antica tradizione, piuttosto agnello e involtini di carne, mentre oggi circolano gran menù di mare “surgelato”: che importa! I russi  arrivano dalla neve, e agli inglesi e ai tedeschi piacciono tanto quei piatti fotografati sulla lista e per loro anche pub e birra a volontà.  Non mancano neppure i locali esclusivi dal menù svolazzante e il cestello del ghiaccio, faraonici hotel da cinquecento euro in su a notte.
Così Cipro è diventata l’oasi dorata di chi fugge dal freddo ma non solo.
Il principale incanto non è il mare, non i castelli, i monasteri, le antiche mura, che abbracciano cinque millenni di storia, gli antichi templi che si ergono sulla cima di colline brulle  a picco sul mare. Quest’isola è sì un paradiso ma non per la suggestione di un  paesaggio. O per la Storia.
E’ un fantastico eden per chi evade le tasse.
Dagli armatori greci, inglesi e tedeschi e soprattutto business-men russi, tanti sono coloro che vi si sono insediati per le incredibili agevolazioni fiscali, che fanno di Cipro un vulnus  di regole a parte in una Unione Europea strangolata dalla crisi. Ora è diventato meno interessante fare affari in euro in un momento così ballerino della moneta unica.
“La storia di Cipro presenta evidenti parallelismi con quelle di Islanda e Irlanda, con il riciclaggio di denaro sporco russo come "ingrediente extra"... una crescita rapida grazie al loro status di santuari del banking internazionale.. un sistema bancario troppo gonfiato per poter essere salvato, con attività bancaria internazionale di proporzioni enormi rispetto al loro Pil. Quindi sono entrate in crisi perché la loro economia non ha le risorse necessarie per salvare questi sistemi bancari metastatizzati quando qualcosa va storto.. “ ( Paul Krugman - Il Sole 24 Ore, 25 -3 ). Alcune stime indicano in 19 miliardi di euro i depositi di cittadini russi nelle banche cipriote, una cifra superiore al Pil nazionale.
E così la Cipro greca con i severi provvedimenti dell’Europa vedrà fuggire i turisti e in primis i russi: che fine farà quel circuito macro e micro economico di turismo basato sui danarosi residenti che ora fanno le valige? Sparirà il lavoro, ecco perchè i giovani greco-ciprioti sono scesi in piazza.
La parte turca intanto, ancora quasi  incontaminata, si stava attrezzando per invogliare i nuovi ricchi a passare il confine e già era cominciato lo scempio pure vicino alle spiagge delle tartarughe.
(Bianca Vergati - Foto dell'autrice)

OLI 371: INFORMAZIONE TV - Si dice(va) donna

Tilde Capomazza oggi è un’anziana signora, come molte, ma non tutte, le donne che il 20 marzo avevano riempito la sala della Provincia per la presentazione del libro “La tigre e il violino”, storia della trasmissione televisiva “Si dice donna” che lei aveva diretto per quasi quattro anni, dal 1977 agli inizi del 1981.
L’autrice del libro, Loredana Cornero, interessata ed esperta di temi della rappresentazione femminile in televisione, non era presente.
Il compito di coordinare l’incontro era di Silvia Neonato, giornalista, all’epoca una delle redattrici che Tilde Capomazza aveva chiamato accanto a sé per realizzare quella che lei definisce “la prima ed ultima trasmissione femminista di donne per le donne” che sia mai apparsa in TV.
La più vecchia di noi, racconta Silvia Neonato, aveva 32 anni, eravamo un piccolo gruppo di donne giovanissime a cui era stato affidato il compito di raccontare “un Paese che cambia”. E in quegli anni a cambiare erano soprattutto le donne.
Non si trattava di una trasmissione di nicchia, ad orari improbabili, si trattava di un’ora e un quarto di servizi (storie di vita, talk show, inchieste) in prima serata.
La puntata più disgraziata ebbe quattro milioni e mezzo di ascolti, e si raggiungevano punte di nove milioni.
Tilde Capomazza dice: “Tentavamo di essere complesse senza perdere chiarezza”. Parole che sono musica oggi che siamo degradati da un linguaggio politico giocato su semplificazioni volgari. Ma il linguaggio che usavamo, ricorda Tilde, era diretto, non usavamo perifrasi. Le donne dicevano di sé, della loro sessualità usando parole mai pronunciate in TV: coito interrotto, la prima notte di nozze subita come una violenza, quanto si era rivelata deludente la sessualità nel matrimonio, il non aver mai visto nudo il proprio marito, il rapporto con i clienti raccontato dalle prostitute.
E poi le inchieste sul lavoro delle donne, e lo sguardo sulle altre realtà: il ruolo delle donne in Cina, un parto in acqua filmato in Olanda, in anni in cui la visione di un parto era fuori discussione. Anni in cui l’Osservatore Romano declamava “I movimenti femministi non possono stravolgere la natura femminile. Strappata da una famiglia patriarcale la donna si trova in una realtà drammatica, ma la casa è il suo rifugio”.
Anni in cui Tilde Capomazza, donna dell’Azione Cattolica alla ricerca della sua strada per diventare giornalista, si sentiva dire dal Direttore della Rai di Napoli “Lasci stare, si trovi un bel marito …”, e da altri “Lei è una brava ragazza, pensi piuttosto alla maternità”.
Tilde dice “Questo miracolo potè compiersi perché sotto c’era un movimento femminista, e perché c’era questo canale televisivo che si voleva differenziare”.
Nel 1975 infatti la riforma della Rai  aveva reso possibile la nascita di Rete 2, politicamente vicina ai partiti di sinistra e laici (PCI, PSI e PRI), sotto la direzione del socialista Massimo Fichera.
Una donna tra il pubblico commenta: “Era una trasmissione dentro un’epoca”. L’esperimento si chiuse agli inizi del 1981: ci attendevano gli anni ’80, e l’ultima trasmissione dedicata al tema dell’aborto segnò la parola fine. Fichera fu sostituito, Tilde Capomazza messa a far niente, tutte le altre redattrici mai più chiamate a collaborare in TV. La trasmissione fu dimenticata, mai più citata in nessuna occasione. Inutilizzabile perfino nel curriculum, dicono le protagoniste. Il flusso delle parole nella sala della provincia viene interrotto due volte dalla proiezione di spezzoni tratti dalle Teche della Rai. Il pubblico resta incantato a vedere quelle immagine così belle, così vere.
Il libro, corredato da un DVD con immagini della trasmissione, è attualmente esaurito. L’augurio è che la Rai si decida a ristamparlo.
(Paola Pierantoni – Immagine da Internet)

OLI 371: GENOVA - 5 aprile, invito con Le Serre

Venerdì 5 aprile il Comitato Le Serre (già noto ai lettori per l’Assemblea Pubblica del 14 febbraio scorso – OLI 364: Genova – San Valentino con Le Serre ) sarà audito dalla Commissione Urbanistica del Comune di Genova in relazione al progetto di gestione dell’area della Valletta S. Nicola come spazio pubblico di aggregazione sociale e modello di sostenibilità nel rispetto della sua vocazione agricola e contro ogni “valorizzazione” immobiliare.
Partecipate numerosi!
(Per il Comitato Le Serre, Camilla Traldi)

OLI 371: TEATROGIORNALE - Per un sorso d'acqua

 Da ilcorriere.it: Sul pianeta dell'acqua in sette miliardi hanno sete

In una cucina una ragazza vuole bere un bicchier d'acqua. E' seduta a un tavolo, davanti a lei ci sono venti persone che la guardano.
Lei li guarda, quando sono arrivati? Non importa, il bicchiere è suo, l'acqua pure.
Alza il braccio per prendere il bicchiere e sposta il peso del corpo in avanti; i quaranta occhi la seguono, anche loro spostano il peso dei loro venti corpi in avanti.
Lei si ferma, lascia il bicchiere d'acqua sul tavolo; le labbra dei quaranta occhi sono screpolate, le carni dei loro venti corpi asciutte.
Lei si alza di scatto, prende il bicchiere, sale sulla sedia, si siede sul tavolo dando le spalle ai quaranta occhi. Lei porta il bicchiere alle labbra, decisa finalmente a bere. Quando l'acqua le bagna le labbra si accorge di avere le spalle scoperte: quaranta occhi assetati la guardano.
Nuovamente si alza di scatto, posa il bicchiere sul tavolo, si siede sulla sedia. Guarda il bicchiere colmo d'acqua. Anche i quaranta occhi lo guardano.
Lei si alza dalla sedia, con noncuranza si avvicina al mobile della cucina, tira fuori: dodici piatti bianchi, quindici bicchieri azzurri, otto tazze dai bordi dorati. Lei li mette gli uni sopra le altre a costruire un muro così che i quaranta occhi non possano vederla mentre beve il suo bicchiere d'acqua. Ma dal manico di una tazzina si intravede un occhio, tra un piatto e un bicchiere ci sono labbra.
Allora lei si alza e apre dei cassetti e tira fuori tovaglie e asciugamani e amplia quel muro di stoviglie con un muro di biancheria. Ma loro potrebbero circumnavigare il tavolo.
Allora lei dispone le sedie così che loro non possano arrivare al suo bicchiere d'acqua, ma una sedia si può scavalcare e allora lei sposta il forno, il frigo, la lavastoviglie a rafforzare quella diga anti assetato.
Ma loro potrebbero ancora passare, uscire dalla finestra della cucina e rientrare da quella della sala e sorprenderla ancora una volta alle spalle.
Bisogna chiudere le finestre, le porte e forse ancora non basterebbe.
Il bicchiere d'acqua è dimenticato sul tavolo mentre lei cerca ancora di proteggersi da chi ha sete.
(Arianna Musso - Foto da internet)


giovedì 21 marzo 2013

OLI 370: SOMMARIO

OLI 370: PAROLE DEGLI OCCHI - Fila la lana ...


Foto di Paola Pierantoni

Yarn Bombing al Porto Antico: pare siano state quasi mille le persone, praticamente tutte donne, che hanno vestito di lana colorata il Porto Antico.

OLI 370: IMMIGRAZIONE - 27 anni a Genova in meno di 500 battute

immagine da internet
Alcune notizie degli ultimi giorni invitano ad allargare l’orizzonte geografico dell’informazione: una, a scala nazionale, è la nomina di Laura Boldrini come presidente della Camera. La giornalista è stata fino al 2012 portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati: sono passate di sovente, negli ultimi giorni, le immagini delle sue missioni in varie parti del mondo, tra cui ex Jugoslavia, Afghanistan, Pakistan, Iraq, Iran, Sudan, Caucaso, Angola e Ruanda.
Durante il suo incarico, Boldrini si è occupata spesso delle migrazioni nell'ambito del mediterraneo.
L’altra notizia, a scala regionale, è la presentazione dei dati della Consulta regionale ligure per l’integrazione, elaborati da Agenzia Liguria Lavoro: se nel territorio regionale l’immigrazione continua a crescere, anche se a ritmi molto minori rispetto al passato (+6,7 per cento rispetto al 2010), a Genova l’immigrazione cresce (+ 38.501) ma non compensa la flessione totale della popolazione (-60.479).
Scendendo ulteriormente alla scala comunale, se si scorrono le carte dell’Archivio Forum Antirazzista si riescono a definire alcune tappe della storia dell’immigrazione a Genova negli ultimi 27 anni.
Nel 1986 il tasso tra emigrazione ed immigrazione era negativo, cioè chi emigrava superava ancora (e di migliaia di unità) il numero di chi immigrava. La voce immigrazione nei dati statistici del comune di Genova prevedeva arrivi dalle altre regioni italiane, in primo luogo il Sud, mentre dall'estero si contavano soltanto 706 ingressi, compresi quelli dalla Repubblica di San Marino. Tra le comunità straniere residenti, al primo posto quella iraniana, per la maggior parte rifugiati politici in fuga dalla rivoluzione del 1979 e dalla guerra con l’Iraq. Si contavano poi soltanto 69 marocchini residenti.
L’anno successivo, il 1987, segna ancora un tasso negativo e chi va via supera ancora chi entra, ma la differenza si assottiglia. La comunità marocchina residente fa un poderoso salto in avanti, decuplicando le presenze che passano da 69 a 689, forse per effetto del rincaro dei beni di prima necessità, dovuto alle concessioni di re Hassan II al Fondo Monetario internazionale nei primi anni Ottanta.
Per passare ad un saldo positivo tra ingressi e uscite si deve aspettare il 1996, quando emigrano 960 persone e ne immigrano 2759.
La maggiore comunità residente, in quell'anno, è sempre quella marocchina, al secondo posto si attesta l’Ecuador, che ha sorpassato il Perù e si dirige verso una crescita costante. Tra il 1996 e il 1999 il numero degli albanesi residenti quadruplica (da 113 a 494): negli stessi anni la guerra in Kosovo miete migliaia di vittime e spinge alla fuga la popolazione.
Il sorpasso tra Ecuador e Marocco, come comunità residente, avviene nel 2000, effetto butterfly della dollarizzazione avvenuta in quell'anno nello stato latinoamericano.
Anche secondo l’ultimo rapporto della Consulta, oggi a scala regionale la comunità ecuadoriana è la più numerosa, con più di 22mila presenze, seguita dall’Albania (21.882 persone) e dal Marocco (14.761). Il tasso ingressi/uscite è tornato negativo, nel comune di Genova, causa crisi e denatalità.
La farfalla questa volta sbatte le ali per noi?
(Eleana Marullo)

OLI 370: PALESTINA - Vittorio Arrigoni: ambasciatore di pace

(foto dell'autrice)
Un incontro emozionante domenica sera a Genova con Egidia Beretta Arrigoni e Don Andrea Gallo per la presentazione del libro "Il viaggio di Vittorio", scritto dalla madre, che ripercorre la breve vita di Vittorio Arrigoni rapito e assassinato a Gaza il 14 aprile 2011.
Molta commozione nel ricordare Vittorio. La sua passione per la giustizia e per la dignità umana lo portano a servizio degli oppressi durante i suoi viaggi. Attivista, militante, volontario, pacifista, scudo umano, reporter. Vittorio trova il senso della sua vita in Palestina nella Striscia di Gaza nella prigione a cielo aperto dove gli abitanti non possono varcare i confini neanche per andare a lavorare. Vittorio decide di stare affianco ai palestinesi nella loro quotidiana lotta di sopravvivenza interponendosi tra i contadini e i cecchini israeliani che sparano durante il raccolto, tra i pescatori e la marina militare israeliana che con ogni mezzo violento impedisce la pesca ai palestinesi.
Vittorio vivrà a Gaza 3 anni fino al suo assassinio. Soggetto scomodo per le autorità militari israeliane, inserito già nella black list delle persone sgradite ad Israele, arrestato e poi espulso, Vittorio torna nella Striscia via mare, non si lascia intimidire e continua il suo impegno con l'International Solidarity Movement; decide di restare nell'inferno di Gaza durante "Operazione Piombo Fuso": tre settimane di bombardamenti israeliani su Gaza che tra dicembre e gennaio del 2009 hanno causato oltre 1300 morti e più di 5000 feriti. Vittorio, unico testimone italiano, attraverso il suo blog guerrillaradio ha dato voce alla popolazione martoriata. I suoi reportage sono stati raccolti nel libro "Gaza. Restiamo umani".
"Davanti a tanta disumanità devi restare umano..." mi disse quando lo incontrai a Genova dopo Operazione Piombo Fuso; e Vittorio la disumanità la conosceva bene: raccogliere pezzi dei suoi amici palestinesi e teste di bambini erano le cose più atroci che aveva visto quando girava con le ambulanze della mezzaluna rossa per trasportare i feriti all'ospedale. “...ho scoperto oggi di essere un pessimo cameraman” scrive Vittorio durante la strage a Gaza “non riesco a riprendere i corpi maciullati e i volti in lacrime. Non ce la faccio. Non riesco perchè piango anche io....”.
(foto da internet)
Certi giorni, quando sono sola, mi rifugio nella stanza segreta del mio cuore e lascio che il dolore mi strazi, e piango e lo chiamo, chiamo forte il mio bambino che non c’è più” scrive Egidia nel libro. E per lei Vittorio oggi vive attraverso gli incontri, attraverso la corrispondenza che aveva con lui, attraverso il blog e attraverso le persone che lo hanno conosciuto e che continuano a ricordarlo.
Vittorio, "ambasciatore di pace" e " grande fiore della pace" come lo ha ricordato Don Gallo, sembrava essere insieme a noi domenica, con la sua pipa e il berretto nero, ad esortarci a "restare umani".
E noi domenica lo abbiamo ricordato così:
 “La storia siamo noi, la storia non la fanno i governanti codardi con le loro ignobili sudditanze ai governi militarmente più forti. La storia la fanno le persone semplici, gente comune, con famiglia a casa e un lavoro ordinario, che si impegnano per un ideale straordinario come la pace, per i diritti umani, per restare umani. La storia siamo noi che mettendo a repentaglio le nostre vite, abbiamo concretizzato l’utopia, regalando un sogno, una speranza a centinaia di migliaia di persone. […] 
Il nostro messaggio di pace è un invito alla mobilitazione per tutte le persone comuni , a non delegare al vita al burattinaio di turno, a prendersi di petto la responsabilità di una rivoluzione, rivoluzione interiore innanzitutto, verso l'amore, l'empatia, che di riflesso cambierà il mondo. [...] la pace non è un’utopia e se lo è abbiamo dimostrato che a volte le utopie si concretizzano. Basta crederci, fermamente impegnarsi, contro ogni intimidazione, timore, sconforto, semplicemente restando umani”.  Vittorio Arrigoni, 3 settembre 2008

video dell'incontro del 17 marzo: http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Unique&id=15797
(Maria Di Pietro)

OLI 370: COMUNE - Benvenuti in sala Rossa!

Prendi una norma di legge di ottobre 2012, condiscila con un lungo periodo di tempo per ottemperare, aggiungici una giunta poco produttiva che si sveglia appena in tempo per non finire con lo scioglimento del consiglio comunale e lo spaghetto è pronto: si tratta del costituendo regolamento per il controllo delle aziende controllate e partecipate del comune.
La proposta di Regolamento sui controlli delle società partecipate viene consegnato all'attenzione dei consiglieri comunali venerdì 8 marzo alle ore 10 circa, per essere discusso nelle Commissioni Affari Istituzionali e Sviluppo Economico il giovedì successivo. Durante la seduta, alcuni gruppi consiliari si "ribellano" alla volontà del Presidente del consiglio comunale di voler già licenziare la delibera per il successivo consiglio di martedì 19, si addiviene alla soluzione di discuterne ancora in commissione lunedì 18. Durante questa seconda seduta, si decide di annullare il consiglio comunale del giorno successivo per effettuare una terza seduta di commissione, fotocopia delle precedenti, nella quale, alla fine, si decide di portare in aula una versione già parzialmente emendata dalla giunta, consegnata la mattina stessa, che accoglie alcune osservazioni ma che, sostanzialmente, lascia i contenuti del regolamento invariati. Gli emendamenti proposti il lunedì pomeriggio da alcuni gruppi sono però relativi alla versione originale della delibera, mentre nel frattempo la stessa ha già effettuato, come detto, alcune variazioni al testo, frutto del lavoro della prima e della seconda seduta. Quindi, alla fine, tutto da rifare, ci si mette d'accordo che venerdì 22 marzo la giunta produrrà una delibera variata, per consentire ai consiglieri, nel weekend, di preparare altre osservazioni per il successivo consiglio del martedì: in un martedì non qualunque, che aveva già all'ordine del giorno il biglietto integrato di Amt, prima della sua morte il 1 aprile. Sarà stato un pesce ...
Il parere di alcuni tecnici sui contenuti del regolamento: un nulla di fatto, una elencazione di obblighi già esistenti, un documento senza contenuti veri. Ed una norma sulla mobilità del personale delle partecipate che in questo regolamento non si inquadra, come fosse un comma di un milleproroghe di fine anno.
Per raccontarne uno solo dei tanti, il punto sulla trasparenza richiama una pagina web che dovrebbe contenere l'elenco delle aziende partecipate dalle partecipate, indicando se negli ultimi tre anni hanno raggiunto il pareggio di bilancio. Stop, null'altro. Eppure la giunta ne aveva di carne al fuoco da mostare: il POA (Piano Operativo Aziendale) ad esempio, i bilanci, i documenti relativi ai controlli. Quei controlli che, si intuisce dalla norma nazionale, avrebbero dovuto partire adesso, a marzo, e che invece saranno procrastinati a ottobre 2013. 
Tutto complesso e disordinato: benvenuti in Sala Rossa!
(Stefano De Pietro - foto da internet)

OLI 370: GOVERNO - Apocalypse Now?

Nuoro, Liceo classico Asproni: su una pagina Facebook nata per condivivere notizie, pensieri e parole tra gli studenti, sono comparsi messaggi omofobi contro compagni di scuola ritenuti omosessuali, con tanto di nomi e cognomi: la reazione è stata pronta, un’assemlea ed una manifestazione con magliette bianche, e l’invocazione di una legge contro l’omofobia. L’ultimo disegno di legge contro l’omofobia si è infranto contro l’asse PdL-Lega-Udc: il pensiero corre all’attuale Parlamento, nel quale le forze in gioco sarebbero ampiamente in grado di approvare tale legge, come molte altre che attendono da anni, se solo si superassero le schermaglie iniziali ed i veti incrociati tra i grandi schieramenti. Il Movimento 5 Stelle, innegabile vincitore delle ultime elezioni, rifiutando di fare accordi con gli altri partiti, chiede un governo M5S, mentre il Partito Democratico, attraverso un incarico a Pierluigi Bersani, porge un programma di otto punti, pensati nell’intento di ingraziarsi il favore dei seguaci di Beppe Grillo.
Allo stato dell’arte, sembra molto difficile che il tentativo di Bersani vada a buon fine, e pare dietro l’angolo il progetto di Giorgio Napolitano di formare un “governo di scopo”, con pochi punti di programma, tra cui una nuova legge elettorale. Con quali voti? Pd e PdL? Gli stessi partiti che non sono riusciti in tale intento nei dodici mesi del governo Monti?
Per evitare un governo del genere, che farebbe sicuramente la felicità di M5S, permettendogli di stare all’opposizione, di gridare all’inciucio (non allontanandosi peraltro troppo dalla realtà), è compito del Partito Democratico accettare la sfida, accettare un governo targato 5 Stelle, andare a scoprire il bluff di Beppe Grillo, se di bluff si tratta.
Nel frattempo gli ultimi sondaggi sembrano dare nuovamente in vantaggio il centro-destra, capace in pochi mesi di far dimenticare agli italiani i Fiorito, i Formigoni, le nipoti di Mubarak, le ruberie dei famigli di Umberto Bossi …
Nuove elezioni in estate o autunno rischiano di rescuscitare un centro-destra morente, ma ancora in grado di affascinare: un tale ferale esito sarebbe interamente addebitabile, in egual misura, ad un Partito Democratico incapace di coraggio, ed ad un Movimento 5 Stelle, capace di recepire l’ira contro la classe politica, eccellente nelle grida di piazza, ma incapace di qualunque sintesi positiva.
Non deludete gli studenti del Liceo Asproni di Nuoro, non deludete chi vi ha votati, potrebbe essere l'ultima volta.
(Ivo Ruello)

OLI 370: GOVERNO: Grillo, Woody Allen, e il M5S

Si è capito chiaramente: gli italiani non hanno nessuna voglia di tornare a votare.
Questa probabilmente non è una buona notizia per Beppe Grillo, ma è ottima per chi ha votato il M5S pensando alla base e non al tragicomico.
Gli elettori del movimento (settantacinque per cento) desiderano fortemente veder nascere un governo. Che è prevedibile debba intervenire con urgenza sul fronte lavoro, sanità, scuola, ambiente e giustizia. Temi per i quali il comico si è fortemente battuto, alimentando consenso attorno alle sue idee.
Se Beppe Grillo smetterà di incarnare il ruolo madre di Woody Allen in New York Stories, lasciando che gli eletti del movimento crescano e provino a fare quello per cui sono stati votati, forse verrà sacrificata, per il governo del paese, la vena narcisista del comico leader, ma verrà colta un’occasione storica unica, dopo anni di malgoverno.
E’ certo che senza M5S in parlamento avremmo rischiato di avere le solite e, in alcuni casi, brutte facce alla presidenza del senato e della camera. Perché nessuno si sarebbe posto il problema di presentare persone con il curriculum di Laura Boldrini e Pietro Grasso, nemmeno il Pd.
In gioco, si capisce, è il ruolo di Grillo nel suo movimento e dei suoi eletti.
Chi fa cosa e con quale delega.
Che si capisce non può e non deve limitarsi al popolo del blog che non rappresenta affatto gli otto milioni di elettori del movimento.
C’è da sperare che M5S non abbia le stesse tendenze suicide della sinistra italiana.
Oggi nessun appello da sottoscrivere, tranne quello al buon senso.
(Giovanna Profumo - foto da internet)

OLI 370: TEATROGIORNALE - Il ritorno degli orchi


Da corriere.it: Il bimbo morto per il cioccolatino avvelenato

C’era una volta in una casetta tre fratelli: Ettore, Giovanni e Sebastiano.

Un giorno Ettore trovò un cestino davanti a casa: dentro vi erano una scatola di cioccolatini, una bottiglia di vino e un mazzo di fiori arancioni. Ettore portò il cestino dentro casa. Dei cioccolatini sapeva cosa farne: nascondersi sotto il tavolo e mangiarseli. Ma la bottiglia di vino? Decise di lasciarla sopra il tavolo. I fiori? Bisognava regalarli a nonna Rina, detta Rana perché quando rideva faceva il verso della rana. Quindi uscì da sotto il tavolo, lasciando lì i cioccolatini, per portare i fiori arancioni alla nonna, dall’altra parte del parco.
 Nel frattempo Giovanni entrò in cucina, aveva fame, erano già le quattro e nessuno l’aveva chiamato per far merenda. Non trovando niente sul tavolo (solo una bottiglia per adulti) decise di guardare sotto il tavolo. E lì cosa trovò? I cioccolatini. Giovanni era un bambino buono e quindi andò a chiamare i suoi fratellini per dividere con loro il bottino.
orco_logo300-3421.jpg (300×342)Sebastiano, il più piccolo dei tre, stava costruendo un aeroporto di Lego, aveva già costruito tre aerei ma voleva averne dieci. Quando arrivò Giovanni, Sebastiano, preso dal suo gioco, acchiappò una manciata di cioccolatini, tutti avvolti in una carta stagnola rossa, e se li mise vicino alla scatola dei Lego. Giovanni uscì di casa per andare a cercare Ettore.
 Nel frattempo Nonna Rana, appena annusò i fiori portati da Ettore, tirò un urlo e disse:
 - Questi fiori sono fiori di orco! Dove li hai presi?
 Ed Ettore raccontò che li aveva trovati davanti alla porta di casa assieme al cestino.
 - Presto
 Disse la nonna.
 - Dobbiamo andare a casa e buttare via tutto quello che c’era nel cestino, gli orchi odiano i bambini. Ettore e la nonna corsero a casa. Sul tavolo la nonna trovò la bottiglia di vino e subito la rovesciò nel lavandino. Appena il contenuto toccò l’acqua si alzò un fumo verde accompagnato da una piccola esplosione.
 - Orchi!
 Esclamò la nonna, sputando nel lavandino. Ettore invece cercò i cioccolatini sotto il tavolo e, non trovandoli, corse in sala. In mezzo alla pista degli aerei c’era Sebastiano, con la faccia riversa su un aereo e con un mucchio di stagnole rosse vicino.
 La nonna chiamò il 118. Si aprì la porta della cucina. Era Giovanni, aveva la scatola dei cioccolatini in mano e la faccia tutta verde. La nonna gli corse incontro.
 - Hai mangiato i cioccolatini?
 Gli chiese.
 - Si, ma solo uno. 
Disse Giovanni e in quel mentre arrivò l’autoambulanza. NINOOONINOOONINOOOOONINOOOOOOooooninoooooooo
 A tutta velocità Nonna Rana e i suoi tre nipotini corsero verso l’ospedale. Arrivati, Giovanni e Sebastiano vennero portati via dai medici
 - Per poterli curare per bene.
 Disse la nonna mentre un poliziotto chiese ad Ettore dove avesse preso quei cioccolatini.
 - Eran davanti alla porta di casa, non so chi li ha messi, non volevo che Giovanni e Sebastiano stessero male.
 Il poliziotto gli mise una mano sulla spalla e gli disse:
 - Non è colpa tua Ettore, ma a volte gli orchi si travestono da uomini e donne normali, magari gentili. Non bisogna accettare da loro nulla, meno che mai i cioccolatini o le caramelle. Sono Orchi e gli orchi odiano i bambini. Gli orchi, le streghe, i lupi, pensiamo che non esistano e che abitino solo nelle fiabe, ma purtroppo non è così, essi vivono attorno a noi, a volte con noi.
 - Ma perché gli orchi odiano tanto Giovanni e Sebastiano?
 - Non lo so, piccolo, non lo so.
 E il poliziotto strinse a se Ettore, un bambino della stessa età di Sebastiano lo stava aspettando a casa.
(Arianna Musso - Foto da internet)

giovedì 14 marzo 2013

OLI 369 - SOMMARIO

OLI 369: PAROLE DEGLI OCCHI - Fumata bianca

Foto di Giovanna Profumo

OLI 369: ARGENTINA - L'unica lotta che si perde è quella che si abbandona

Foulard bianco, sguardo vispo, passo deciso, Hebe de Bonafini, Presidente delle Madres de Plaza de Mayo, arriva a Genova per incontrare la città. Due giornate di conferenze, letture, musica, rappresentazioni teatrali dedicate alle Madres.
L'associazione è nata in Argentina durante la feroce e sanguinosa dittatura militare che tra il 1976 e il 1983, con a capo il generale Videla, ha represso, torturato ed ucciso parte della popolazione argentina, soprattutto giovani, che si opponevano alla dittatura militare: oltre 30mila desaparecidos, 1 milione di esiliati, 9mila esiliati politici, 15mila persone fucilate per strada per sostenere un progetto economico neoliberista messo in piedi dall'estrema destra argentina con l'appoggio della CIA.
Con un foulard bianco con scritto il nome del proprio figlio scomparso, le madres sono scese in piazza per la prima volta 36 anni fa marciando in silenzio intorno al monumento di Plaza de Mayo, dove ha sede il palazzo del governo nella Casa Rosada di Buenos Aires. All'inizio i militari sparavano loro addosso, le picchiavano, le chiamavano le pazze, queste donne comuni, casalinghe che con gran coraggio hanno sfidato i carnefici della dittatura chiedendo giustizia per i loro figli. 
"Non continuiamo a lottare solo perché vogliamo più giustizia, abbiamo un impegno con i nostri figli, vogliamo continuare a fare quello che loro facevano: lavorare e lottare per un uomo nuovo, una società più giusta, per questo abbiamo creato l'università, la rivista, il centro culturale, la libreria, la biblioteca, la radio ora stiamo facendo le case per le donne violentate;  c'è molto da fare in questo mondo" afferma con passione Hebe de Bonafini "chiedo a tutti di lavorare e di lottare per un mondo senza differenze, dove la pace non sia un reclamo ma una realtà che venga insieme alla giustizia... Per favore ascoltiamoci, ascoltiamo la nostra voce, guardiamo i nostri volti, accarezziamoci per favore, chiediamo all'altro cosa ti succede, di cosa hai bisogno e sentiamo quello che passa agli altri per sentire cosa passa dentro noi stessi. E quando vi fa così male il sangue per quello che succede all'altro e da lì che cominceremo a fare un uomo nuovo e rivoluzionario"

Hebe oggi ha 84 anni, è una delle più giovani delle Madres, dichiara che ha voglia di continuare a lottare per questo mondo per cui tanti hanno dato la loro vita.
"La vita è lotta. E la lotta inizia con la nascita di una persona e termina con la fine della sua vita"  mi dice, e lei la dura lotta la conosce molto bene, la sua è nata in nome di ciò che di più caro le è stato brutalmente strappato; dopo la scomparsa di 2 suoi figli e di sua nuora Hebe non si è fermata un attimo nella ricerca della verità, per ottenere giustizia e non vendetta, anche quando nel 2001 sua figlia Alejandra fu brutalmente torturata. 
A Genova Hebe si rivolge ai giovani e li esorta: "A tutti i giovani del mondo chiediamo di fare politica, che non credano che la politica sia "mierda", ma il modo per cambiare le cose per un mondo più giusto. Se volete un mondo migliore dovete lottare... Perché la giustizia e la pace siano un diritto e una costante..."
(Maria Di Pietro - foto dell'autrice e da internet)

OLI 369: MALI - Quando l'Africa ci interessa


figura 1 - da facebook
figura 2 - Fondo Kati - da flickr
Il 1° marzo è stata ufficialmente dichiarata la fine dell’emergenza Nord Africa, iniziata nel 2011 con il diffondersi delle primavere arabe e la sorte dei 13mila richiedenti asilo ancora in carico ai centri di accoglienza rimane da definire. In rete c’è già chi è in vena di bilanci e strumentalizzazioni, e sottopone alle ire collettive di Facebook un documento con l’elenco dei rifugiati a Milano secondo la provenienza (vedi figura 1), obiettando che, tra i rifugiati, non ci sono profughi libici e per questo bisogna “rimandare tutti a casa”. A guardare bene il documento, si legge che il primo paese, per provenienza, è il Mali: ma cosa succede in Mali, e cosa c’entra tutto con l’emergenza Nord Africa? Se si considera l’Africa come un continente con una storia in rapida evoluzione e il movimento delle primavere arabe come una violenta onda d’urto che ha avuto ripercussioni anche a sud del Sahara, diventa tutto più comprensibile. A parlare del Mali, durante il ciclo di conferenze Africa Oltre: conoscere l’Africa al di là degli stereotipi, ci sono Giorgio Musso, ricercatore di Storia dell’Africa, Marco Aime, docente di antropologia all’Università di Genova e Ismael Diadié Haidara, storico, responsabile del Fondo Kati library di Timbuktu (figura 2), biblioteca che conserva manoscritti andalusi di centinaia di anni, che testimoniano la penetrazione araba in Spagna. Diaidié è uno dei tanti abitanti del Mali in fuga dal Nord del paese. Il Mali è stato presente quest’ultimo anno sulla stampa, a causa del conflitto in corso, ma ancora di più per la disponibilità di petrolio e per l’intervento armato della Francia. Il relatore descrive le carestie e turbolenze sociali avvenute negli anni, lontano dai media internazionali: il Mali divenne indipendente nel 1960, grazie anche all’opera di movimenti indipendentisti, attivi a partire dal 1948. Nel 1962 vi fu la prima grande ribellione del Nord, repressa nel sangue. La seconda avvenne nel 1990 e anch’essa finì nel sangue, risolvendosi grazie alla mediazione dell’Algeria. Fecero seguito accordi tra il governo maliano e minoranza tuareg, che popolava il nord ed era stata protagonista dei movimenti indipendentisti. Nella rivolta del 1990 aveva lottato a fianco dei tuareg anche il Fronte islamico di salvezza (Fis) dell’Algeria. Dopo le elezioni algerine del 1992, le elezioni vinte dal Fis furono annullate e l’Algeria sprofondò nella guerra civile che sarebbe durata un decennio. I guerriglieri del Fis furono spinti a sud, nel Mali, dove si unirono ai movimenti indipendentisti preesistenti. Nel 2007 si formò Al Qaida per il Maghreb islamico, che si finanzia in Mali – racconta Diaidié Haidara - soprattutto attraverso i proventi del traffico della droga. I vuoti di potere creatisi in seguito alle rivolte arabe del 2011 (e qua ci si collega con gli avvenimenti recenti e con l’effetto domino causato dai mutamenti del nord Africa) aprirono nuovi spazi i gruppi islamisti. Il crollo del regime di Gheddafi causò l’afflusso di milizie di tuareg armati, prima controllati dal regime libico, nella parte settentrionale del Mali. I tuareg, coalizzati nel Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (Mnla), combatterono per l’indipendenza dal governo centrale del Mali. Ad aprile 2012 risale l’alleanza tra il Mnla e gli islamisti, con conseguenze nefaste sulla popolazione: persecuzioni, torture, taglio delle mani e dei piedi, violenza sessuale sulle donne, distruzione di mausolei e monumenti, perdurati fino all’intervento francese. Gran parte della popolazione del nord del Mali è fuggita dalle persecuzioni, tra loro anche il relatore Diadié Haidara, che ha lasciato incustoditi i 12mila manoscritti del Fondo Kati ma che, in fuga a 55 anni dall’ennesima catastrofe del suo popolo, cerca di far conoscere all’opinione pubblica internazionale quello che sta succedendo.
(Eleana Marullo)

OLI 369: RIFIUTI - Tutti i nodi vengono al... cassonetto

E' notizia di non molti mesi fa l'intervento della Corte dei Conti nei confronti del Comune di Recco, dove la raccolta differenziata eseguita con percentuali molto più basse dei limiti di legge, è stata considerata dal giudice un danno erariale e (qui sta la novità) anche ambientale.
Come era prevedibile, la Guardia di Finanza si è recata ieri negli uffici del Comune di Genova per acquisire gli atti relativi alla nostra "rumenta", c'è quindi da attendersi una multa salata che ricadrà in modo pesante su un bilancio già ferito a morte dalla rivisitazione della spesa di Monti.
Nell'articolo de Il Secolo XIX di giovedi 14 marzo 2013 si fa riferimento ad un progetto di legge che galleggia da tempo (immemore) in Parlamento, il quale istituisce un rimborso del 25% della Tia per i cittadini i cui comuni non avessero adempiuto agli obblighi di legge sulla differenziata. A rincarare la dose, c'è la sentenza della Corte di Cassazione che ha imputato ai soli comuni il danno erariale e la relativa multa, rendendo inefficaci le clausole inserite da molti comuni nei contratti con le aziende di gestione dei rifiuti: infatti, secondo il giudice, non è ascrivibile con certezza alla responsabilità diretta dell'azienda incaricata il mancato raggiungimento dei valori di raccolta differenziata, ancorché inserita in contratto, in quanto la sua realizzazione è dipendente da comportamenti dei cittadini, che sono al di fuori del controllo delle aziende aggiudicatarie del servizio. Le multe ricadranno, quindi e senza diritto di appello, sui comuni, quindi sui cittadini.
Nel citato articolo del Il Secolo XIX  ci si dimentica di un'altra chiave di lettura del problema, all'interno della Tares, la nuova legge che regolamenta la raccolta dei rifiuti. Nell'articolo 20 della norma oggi in vigore si legge: "Il tributo è dovuto nella misura massima del 20 per cento della tariffa, in caso di mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti, ovvero di effettuazione dello stesso in grave violazione della disciplina di riferimento, nonché di interruzione del servizio per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi che abbiano determinato una situazione riconosciuta dall'autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all'ambiente". Se tanto mi dà tanto, allora il mancato raggiungimento della quota di differenziata minima di legge ricade in una grave violazione, che addirittura la Corte dei Conti punisce come danno ambientale e la proposta di legge sulla Tia con un rimborso al cittadino del 25%. Potremo quindi vedere ridotta per legge la tariffa Tares e accreditati dei rimborsi Tia per i 5 anni precedenti? In fondo, pagare a giugno solo il 20% della Tares è un'ottima soluzione per addrizzare la politica di Amiu, che fino a ieri ha promosso l'inceneritore di Scarpino a danno, quindi di tutti i cittadini. Risulta evidente la necessità di cambiarne la dirigenza, insieme alla politica, e tocca al comune applicare la legge rimodulando la tariffa al ribasso in un regime di auto-punizione.
Alla fine, inaspettatamente, l'Italia non pronta alla differenziata e i suoi Comuni arruffoni e affidati ad aziende irrispettose delle leggi rischiano di fallire sulla spazzatura, invece che sui grandi temi della politica che riempiono i giornali e che fanno sbalzare alle stelle gli indici dei bookmakers inglesi.
E nell'aria c'è anche la legge di iniziativa popolare Rifiuti Zero, per la quale presto vedremo i banchetti in giro per Genova e tutta l'Italia, firme raccolte nell'ambito europeo e che sarà obbligatoriamente discussa in tutti i parlamenti nazionali.
(Stefano De Pietro - immagine da internet)

OLI 369: SCUOLA - Bambini, va in scena il denaro

Sabato 9 marzo, il teatro è quello della parrocchia di S. Giuseppe Benedetto Cottolengo di Genova, il pubblico è di grandi e piccini, accorso numeroso, nonostante il diluvio, per il Money Show di Davide Tolu e Matteo Manetti.
I due vanno in scena vestiti da coloratissimi straccioni per raccontare a bambini e bambine – età compresa tra i 6 e i 13 anni – la storia del denaro e del suo utilizzo presente, passato e auspicabilmente futuro.
Con i fratelli Caciotta e Polpaccio si fa un viaggio nella storia e - partendo dal baratto e dalla Roma imperiale - si arriva al salario, fino all’euro che prende corpo in scena.
L’idea è far riflettere i piccini su come possono essere spesi e sprecati i soldi in famiglia - è proprio necessario spenderne così tanti per una giacca di Amaro Gabbiano? - e su come sono investiti da banche d’affari da una parte e banche etiche dall'altra.
Ogni quadro storico è accompagnato da canzoni e sketch, che divertono i bambini e li rendono partecipi, in uno spasso che coinvolge anche i grandi.
Davide e Matteo parlano di lavoro minorile e di denaro destinato all'acquisto di armi in equilibro tra informazione e ironia e nel linguaggio proprio dei bambini.
Money Show è una bella occasione per portare il denaro a portata del piccolo pubblico e lavarlo da quell’idea sporca che lo vuole fine e non mezzo.
L’auspicio è che Davide Tolu e Matteo Manetti siano ospitati con il loro spettacolo dalle scuole elementari genovesi per sensibilizzare i bambini su un utilizzo più sano e consapevole dei soldi.
(Giovanna Profumo - foto dell'autrice)

OLI 369: POLITICA – Gli amici divisi

La grande maggioranza delle mie amiche e dei miei amici non solo non ha votato Grillo ma, detto in chiaro, proprio non lo può soffrire.
Eppure ho anche carissime e intelligenti amiche e amici che nel Movimento 5 Stelle hanno riposto le ultime, residue, speranze di cambiamento.
Quanto a me, rientro nel primo gruppo.
Ogni tanto mi rimprovero di non aver fatto nessun serio tentativo per far cambiare idea alle care amiche ed amici che mi annunciavano il loro voto grillino. Poi, subito dopo, mi assolvo: il fenomeno elettorale che si è verificato è stato talmente sovrastante che qualche perorazione in più sarebbe stata del tutto inefficace. Dubito inoltre che, pur impegnando tutte le mie forze dialettiche, sarei riuscita a far cambiare idea anche a uno/una solo/a di loro.
Mi interrogo su questo divario, al momento apparentemente incolmabile, nonostante le molte affinità personali, affettive, ma anche di natura sociale, culturale e politica che mi legano a loro, e che legano tra loro alcune di queste persone.
Di certo, penso, sono stati fatti tutti gli errori possibili, sono state commesse tutte le possibili colpe, con l’esito di una realtà politica sconfortante.
Ma questa realtà è riconosciuta e sofferta con la stessa angoscia sia da chi sta nel primo che da chi sta nel secondo gruppo.
E allora, da dove viene una separazione così radicale?
Forse una radice sta “nell’apprendistato politico” che amiche ed amici del primo gruppo hanno alle spalle in misura molto maggiore. Esperienze molto varie, di cui la principale non è quella di aver militato in un partito: in alcuni casi è successo, ma da anni più nessuna di queste persone ha una tessera in tasca. Invece in molti casi c'è l'essere stati delegati sindacali in fabbrica, o parte di associazioni e movimenti che hanno operato politicamente, facendo, nella pratica, i conti con differenze e complessità che impongono la necessità della mediazione non solo come espediente tattico, ma come esito dello sforzo di conoscere, comprendere, accettare, e a volte condividere, le ragioni degli altri.
Nel mio giro amicale ad avere questo retroterra non sono solo le persone più "grandi" di età, ci sono anche delle giovanissime. Tutte comunque reagiscono con  insuperabile diffidenza ai tratti della comunicazione di Grillo: violenza verbale,  semplificazioni, tratto autoritario, sistematica svalutazione degli "altri", identificazione tra leader e movimento.
Sull'altra sponda prevale senza discussione il sollievo per la scossa che è stata data, la fiducia in un rinnovamento impersonato dalle facce sconosciute che si affacciano. Peraltro, si può osservare, non sono le sole: il 66% degli eletti del PD sono new entries. Tra loro il 41% di donne.
Certamente eravamo giunti a un passaggio che imponeva una discontinuità, e al Movimento 5 Stelle va riconosciuto il merito di aver interpretato questa esigenza, spingendo in questa direzione anche le altre forze poltiche.
Ma lo tsunami senza le consapevolezze e le disponibilità di cui si è detto rischia di produrre, di rimbalzo, un nuovo affondamento nella palude: indebolimento della parte più progressista del Pd, liquidazione di Sel, nuove opportunità ad una destra variamente interpretata;  il tutto a maggior ragione se la concretezza e le speculazioni della crisi economica verranno rese ancora più pressanti dall'incertezza politica.
Ripenso, perché li ho vissuti nei primi anni '70, a due momenti di passaggio non meno radicali: l'azzeramento della vecchia struttura sindacale fondata sulle Commissioni interne, spazzate via da un’inedita forma di democrazia, il delegato eletto su lista bianca nei luoghi di lavoro. E il separatismo femminista, quando le donne allontanarono gli uomini dai loro gruppi politici e dai loro cortei. Mentre si compivano questi atti di rottura la trama dei rapporti e della mediazione tuttavia non fu interrotta, ed è questa trama che ha sorretto e dato una prospettiva a quelle fasi di cambiamento.  
(Paola Pierantoni)

OLI 369 - TEATROGIORNALE - I confini di Schengen

Da il Sole 24Ore Schengen, perchè a Berlino non piace il via libera a rumeni e bulgari

Al confine tra la Germania e la Romania c'è un muro con un varco e una sbarra abbassata. Oltre vi è una fila che aspetta il gendarme addetto alla frontiera. Il cielo è plumbeo, non un posto dove sedersi. Dopo un paio d'ore la sbarra si alza: ogni cittadino rumeno che vuole entrare in Germania, e quindi in Europa, deve fornire generalità e documenti; infine i richiedenti visto vengono fatti accompagnare in una stanza scavata nel muro in attesa del 2014, quando Schengen verrà, forse, ratificato anche per loro.
- Nome?
Fa il gendarme alto, con i capelli biondi e i baffi.
- Samuel Rosenstock.
- In che campo agisce?
- Per carità, sono contro l'azione,
- Contro l'azione?
- Certo e per la contraddizione continua.
- Quindi afferma che è inoccupato.
- In realtà anche per l'affermazione non sono né favorevole né contrario.
- Esigo una motivazione sul perché vuole circolare liberamente in Europa.
Il signor Rosenstock si avvicina al gendarme e gli sussurra all'orecchio:
 - Non do spiegazioni perché detesto il buon senso.
Il gendarme, affatto stupito, pone qualche timbro sui fogli di Samuel Rosenstock, detto Tzara e lo fa entrare nella stanza ricavata dal muro. 
- Nome? 
Questo gendarme è pelato e con una pancia da bevitore di birra. 
- George Palade. 
- Professione? 
- Ricercatore. 
- E cosa vuole cercare qui da noi? 
- I ribosomi. 
- E che sono? Cellule criminali legate alla prostituzione? 
- Beh, hanno a che fare con le cellule ma si dedicano alla biosintesi. 
- Sintesi, in sintesi cosa sintetizza? 
- Proteine. Anche lei le utilizza sa? 
- Non dica fesserie, sono un pubblico ufficiale. 
- Nel suo citoplasma, glielo assicuro. Altrimenti morirebbe. 
- Ah… mi minaccia pure. Le faccio passare io la voglia di fare lo spiritoso. 
Il gendarme prende il signor George Palade, nobel per la medicina, per la collottola e lo lancia dentro la stanza ricavata nel muro. 
Si avvicina una donna dai capelli neri. 
- Nome? 
- Nadia Comaneci. 
- Professione? 
- Ginnasta olimpionica. 
- Non può entrare. 
- Perché? 
- Il fratello di mio cugino si è sposato con una rumena e lo sanno tutti… La donna rimane dritta davanti al gendarme. 
-Va bene, venga va, ha ancora da lavorare... 
Il Gendarme fa entrare la campionessa olimpica nella stanza ricavata nel muro guardandole vistosamente il sedere e strizzando l'occhio al collega che esce dalla stanza. E’ il primo gendarme, quello alto con i baffi, che si avvicina alla sbarra per prendere le generalità di un altro migrante. 
- Nome?
Dice il gendarme, l'uomo che ha di fronte non risponde. 
- Nome? 
L'uomo ostenta indifferenza. 
- Perché non mi vuole rispondere? 
L'uomo osserva il gendarme. 
- Perché non la conosco. 
- Ma neanche io la conosco. Come faccio a conoscerla se non mi dice come si chiama.
- E io come faccio a dirle come mi chiamo se non la conosco. E’ un buon principio non parlare con gli sconosciuti, si potrebbero fare dei brutti incontri. 
- Condivido, meglio essere prudenti. A meno che non si possano avere valide credenziali. 
L'uomo si illumina. 
- Giustissimo, ma non basta un nome. 
- Vero. Infatti chiediamo i documenti. 
- I documenti documentano quello che la persona sostiene di essere, ma se la persona è insostenibile non c'è documento che tenga e bisogna andarsene, o perlomeno appoggiarla da qualche parte. Il gendarme è preoccupato. 
- Appoggiarla dove? Il regolamento non lo prevede. 
- Non lo so, ma se non riesco a sostenerla è meglio che la appoggi da qualche parte prima che mi caschi su un piede. 
- Ha ragione, meglio essere prudenti. 
- La prudenza non è mai troppa. E se è troppa basta levarla, ma non troppo, quanto basta. 
- E poi dove la metto? 
- Non lo so, ma scusi ci conosciamo? 
- Io sono Hans Shodler e lei? 
- Eugené Ionesco. Piacere. 
- Il piacere è mio. 
- Mi scusi, glielo rendo subito, l'ho preso senza accorgermene e se permette ora me ne vado.
 Ionesco saluta alzando il capello e se ne va.
(Arianna Musso - foto da internet)

giovedì 7 marzo 2013

OLI 368: SOMMARIO

OLI 368: PAROLE DEGLI OCCHI - Effusioni

Foto di Maria Di Pietro

OLI 368: LIGURIA - Derivati, le regole della politica e quelle dei cittadini

Foto da internet
La minaccia “derivati” ha fatto sentire i suoi effetti – dal passato - anche sul Comune di Genova. La miccia è stata accesa da Il Giornale, che ne ha ricavato un’inchiesta pubblicata a partire dall’8 febbraio con l’articolo d’esordio “Il Monte dei Paschi anche a Palazzo Tursi: 118 milioni di derivati” (8/2/2013). Lo si ricorda per i lettori inesperti di ingegneria finanziaria: il derivato è uno strumento, un contratto, un accordo il quale lega il suo valore a quello di un’attività. Nel caso dei derivati acquistati dal Comune di Genova, ci si basa sull’oscillazione dei tassi di interesse dei mutui. Ritornando al caso di Genova, Il Giornale ha sollecitato l’intervento dell’assessore al Bilancio Miceli che ha dichiarato “Si tratta di due contratti, il primo stipulato nel 2002 con Unicredit per un valore di 7.272.000 euro, il secondo stipulato con Bnl nel 2001 per 13.066.882 euro con scadenza 2020” (“Derivati, la Corte vuol fare i conti col Comune”, Il Giornale 9/2/13). Sull’onda dell’inchiesta, la Lega ha proposto un’interrogazione comunale, non ammessa per ora a discussione (Il Giornale 13/2/2013). Il modo di riportare le notizie segue l’orientamento ideologico della testata, tanto che Il Giornale in un primo momento minimizza il fatto che i derivati risalgano alla giunta Pericu, rimarcando le responsabilità a riguardo dell’attuale amministrazione, mentre in altri articoli gioca sul fatto che i derivati non siano stati annullati immediatamente dal Comune, ma – contemporaneamente - una sentenza del Tar Toscana solleva questioni che sono d’ostacolo alla possibilità per le P.A. di liberarsene (“Swap impossibili da annullare”, Il Sole 24 Ore 23/2/2013). Il Secolo XIX si occupa della questione e riporta la dichiarazione di Miceli, secondo cui “si tratta, come si è detto, di due contratti senza rischi occulti o non prevedibili, che hanno sole finalità di tutela da forti oscillazioni dei tassi, per cui si valuta che in questo momento non sia conveniente rescindere questi contratti per il pagamento delle penali” (Il Secolo XIX 1/3/2013). Rimane invece silenziosa sull’argomento la Repubblica - Lavoro. L’alone di mistero che sembra comunque continuare a circondare la faccenda (a quanto ammontano le penali che impediscono di rescindere da un contratto in cui il comune, comunque, è in perdita?) riporta alla mente vicende di simili derive e simili misteri: i derivati non sono una novità per la Liguria: nel 2011 la giunta Vincenzi aveva chiuso un contratto con BNP Paribas, che costava 24 milioni di euro soltanto di interessi e che era stato siglato poco prima del suo insediamento, ancora sotto la giunta Pericu. Nel 2007 invece era stata la Regione a finire nei pasticci: un ex impiegato della banca giapponese Nomura a Londra aveva denunciato enormi ricavi ottenuti da un prestito della Regione Liguria nel 2006, (Il Secolo XIX, 6 aprile 2007, vedi anche OLI 160). Anche in quel caso, l’accordo era circondato dal massimo segreto e riserbo: il governatore Burlando dichiarava di dover seguire le “regole”. Ma non si riferiva a quelle che tutelano il diritto dei cittadini di sapere e di pretendere trasparenza, bensì a quelle contenute nei contratti ed imposte dalle banche. Ritornando al presente, al momento il sito del comune non riporta alcuna indicazione riguardo alla stipula dei contratti derivati: la trasparenza rimane uno dei punti più dolenti delle iniziative finanziarie ad alto e medio rischio intraprese dalle pubbliche amministrazioni.
(Eleana Marullo - foto da internet)

OLI 368: GENOVA - C’è chi dice casiNo


28 febbraio, ore 14 e 55, pubblico sul mio profilo Fb.
Facile dire "a Zena se ciamman bagasce", facile anche scriverselo sulla maglietta. Facile gridarlo a Nicole Minetti, troppo facile. Il problema a mio avviso è che sarebbe superficiale, machista, ipocrita. Non esiste un corrispettivo maschile: insultate un uomo corrotto, marcio, approfittatore etc., cosa gli dite? Minetti è donna, si è comportata in un certo modo, quindi è bagascia. Bene. Se anche fosse il problema non è lì ma in chi fa l'investimento per quel luogo in cui di sano, economicamente e non solo, ci vedo ben poco. Possiamo anche prendercela con lei ma lo trovo miope: chi ha i capitali per fare una cosa del genere? A chi importa che cosa si farà lì dentro? Chi controllerà che la gente non ci si rovini? Sapremo da dove arriva il denaro che ci circola, lì come in tutte le altre sale e salette spuntate come funghi ovunque? Non sempre (secondo me quasi mai) il bersaglio più facile è quello giusto. Per fortuna ci sono persone lungimiranti che si fanno le domande giuste e che non mollano. Per fortuna l'antimafia a Genova non sono parole al vento.
1 marzo 2013, sera, dopo il presidio CASI-NO a Genova Pegli.
Passo in moto, c’è già una folla pochi minuti dopo le 18, sorrido, qualche faccia nota, attraverso veloce il traffico e il ponte per parcheggiare e partecipare. Bandiere, di partito e non, striscioni con slogan, volantini, si aspetta Don Gallo, intanto prendono la parola il presidente del municipio, Domenico Chionetti, di San Benedetto, detto Megu  , una cittadina di Pegli... Ciascun* esprime gratitudine rispetto alla partecipazione della gente - quante e quanti lo lascio dire a chi sa fare queste stime, a me sembravamo un bel po’ - e cerca di sensibilizzare sulla problematica del gioco d’azzardo e delle ludopatie, del dilagare degli investimenti poco puliti, in particolare negli ultimissimi tempi e approfittando del periodo di crisi. Don Gallo arriva annunciato e abbandona l’auto in mezzo al traffico, provocato dalla folla che attraversava di tanto in tanto la strada mostrando i cartelli (casi-NO) e invitando chi passava a restare e manifestare, raggiungendoci a piedi, circondato da foto ed entusiasmo. Prende la parola - “una sedia per il Gallo!” passa sulle nostre teste - soffermandosi sulle lotte del ponente, sulla dignità di queste lotte, sulla tenacia e sulla rilevanza politica e pubblica della partecipazione della gente, sul coinvolgimento, sull’esserci e sul contare. “Nicole Minetti vada a mostrare tette e culo altrove” - scivola, la gente si infiamma, troppo facile, continuo a pensare che il problema non sia la scelta della “madrina” per l’inaugurazione. Don Gallo prosegue, gli interventi si alternano e si respirano interesse, passione. Ascolto e ragiono: non si è fermata l’apertura del casinò: a detta di chi vive a Pegli e ne è al corrente, come racconta una signora, “la sera ci sono macchine ovunque, in terza e quarta fila, pullman addirittura, e poi, si sa, come dire, l’indotto di questi affari… prostituzione, spaccio”. Si è in qualche modo rimandata l’inaugurazione grazie alla mobilitazione cittadina e all’intervento del comune che ha voce in capitolo per quanto riguarda i permessi necessari per l’apertura e la gestione del locale. Quello che ci si aspetta ora e per cui si auspica una partecipazione e un’attenzione costante è il seguito: riciclaggio di denaro, traffici illeciti e ottime coperture, famiglie rovinate e attività commerciali che vengono sostituite da casinò, la gente è stufa, la partecipazione di oggi l’ha dimostrato: “siamo qui, torneremo!” chiude Megu di San Benedetto, applausi, speranza, desiderio di cambiare, coraggio!
(Valentina Genta - foto di Marco Pelizza)