venerdì 15 aprile 2016

OLI 428: SOMMARIO

OLI 428: TUNISIA - Donne

Aslema cortile di Menzel Bourguiba (foto di Monica Profumo)

OLI 428: REFERENDUM - Trivelle sì, trivelle no

Trivelle sì, trivelle no... a ciascuno la sua margherita.
Incontro la giornalaia dell’edicola sotto casa, che ha voglia di chiacchierare, parla del tempo, delle aiuole e poi mi fa:
 “Ma lei che ne sa, cosa vota sulle trivelle?”
Resto interdetta e penso “ma guarda, va a votare”.
Se non ci fosse stato il tamtam della ministra e l’amico del petrolio il referendum sulle trivelle finiva tra quelli “tutti al mare”, invece se ne parla eccome, difficilmente il quorum sarà raggiunto, ma un sussulto di partecipazione è sicuro, soprattutto gli anta, ai giovani poco importa, hanno altri problemi. “Rischiamo di perdere una generazione”, dice Draghi, anche di cittadini.
Gli sfidanti portano ciascuno le proprie motivazioni, un pot-pourri di equivoci e mistificazioni sottotraccia. L’accusa più dolorosa e vile appare quella che votando per il sì si faranno perdere posti di lavoro: intanto la maggior parte delle concessioni ha durata almeno trentennale, pur se alcune degli anni ‘70, più dieci anni e ancora dieci e noi abbiamo sottoscritto il protocollo Cop21 a Parigi sulle emissioni e sulla dismissione di energie fossili. Perciò la nostra ricerca, le nostre risorse devono puntare su energie alternative e le rinnovabili in questi anni hanno creato e creeranno nuovo posti di lavoro.
Illusorio però, come sostengono gli ambientalisti, che per il nostro piano energetico nel prossimo futuro si possa contare soltanto su fonti pulite. Tutta l’Europa, compresa la verde Norvegia ha un piano energetico “misto”, estrae petrolio dal mare di Bering, così la Germania, che molto investe su energie rinnovabili, utilizza la lignite, assai più inquinante del carbone.
Per l’Italia stiamo parlando di una dorsale di petrolio e metano che va da Novara lungo l’Appennino fino alla Sicilia, i numeri, dal National Geographic a stampa varia sono un po' discordanti, 64-66 concessioni per un totale di 130-135 piattaforme, ma Legambiente precisa, e molti concordano, che entro le 12 miglia sono coinvolte 35 concessioni, di cui 26 produttive, con 79 piattaforme e 463 pozzi, cioè 1% di consumo nazionale di petrolio e il 3% di gas, che sembra comunque non essere inquinante, se si dovessero verificare incidenti. Un potenziale pericolo per l’ambiente, anche se danni non ce ne sono stati per ora ed effetti sul turismo neppure, lo dimostra l’Emilia Romagna, dove si trovano più piattaforme, mentre altri timori suscitano le navi che arrivano da tutto il mondo, solcano i nostri mar , portandoci gas e petrolio, spesso natanti senza verifiche e prive di seri controlli come quelle dei nostri cari armatori greci e italiani.
D’altra parte il Mediterraneo è un mare chiuso, le coste della terraferma sono lontane a volte poche miglia, non è un oceano e di fronte nei Balcani si trivella... Del petrolio ne sappiamo qualcosa noi liguri: i resti delle perdite della petroliera Haven, al largo di Arenzano a 25 anni dall’incidente sono ancora lì, vi nuotano pesci e sub imprudenti tra i fondali suggellati per sempre dal materiale della fuoriuscita del greggio.
La legge di Stabilità prevede che non vi siano nuove concessioni, ma che quelle già rilasciate entro le 12 miglia, limite acque territoriali, proseguano a tempo indeterminato, ad esaurimento, così come i permessi di attività di ricerca, una decina sparsi nel mar Adriatico e in Sicilia con rinnovi da sei più sei. Il tutto a prescindere, con proroghe che non rispettano la legalità, come la Normativa europea prevede, la trasparenza sull’affidamento di beni pubblici. E noi abbiamo moli, spiagge assegnate non in chiaro: votando No si continua a perpetuare privilegi, cui purtroppo abbiamo fatto l’abitudine, ma nulla vieta che i titoli possano essere riassegnati con nuova gara o si debba smantellare. Sotto sotto le società petrolifere estraggono anche secondo l’andamento dei prezzi, con calma, se non c’è scadenza, tanto hanno già ammortizzato.
La partita appare in realtà tutta politica, con una comunanza trasversale di oppositori a Renzi e alle sue riforme costituzionali, un fronte compatto da Fratelli d’Italia a Sinistra Italiana e Movimento 5 Stelle, ma anche uno scontro non meno importante tra Enti locali e potere centrale: una calamità, la modifica al titolo V ha dato alle regioni competenze che non hanno saputo gestire, dai rifiuti, al trasporto pubblico, alla sanità e chi teme una longa manus delle regioni sul Piano Energetico Nazionale ha buone ragioni .Per una volta tanto pare che gli enti locali si preoccupino della loro terra, del loro ambiente... o no? Intanto l’amore per bellezza del nostro paesaggio muoverà a torto o a ragione più di un cuore.
(Bianca Vergati - immagine di Paolo Gasaldo)

OLI 428: (BUONA?) SCUOLA - Countdown per il concorso che non vuole nessuno

Perché i meccanismi di assunzione dovrebbero interessare tutti, e non solo la scuola? I dipendenti della scuola sono tanti: il numero preciso è difficile da reperire. Una rilevazione del 2012 ne conta un milione 43mila, una del 2013 963mila: le stime oscillano ma approssimando si può affermare siano circa un milione di persone.
La scuola è un argomento che tocca trasversalmente tutta la popolazione, che ci è passata in età di formazione e che ci si rapporta quotidianamente seguendo i propri figli: per questo motivo il reclutamento degli insegnanti non dovrebbe rimanere soltanto un argomento per specialisti del settore.
Eppure la riforma ed il dibattito intorno alla legge 107/2015, meglio nota come “La buona scuola” passa poco sui mezzi di informazione. Al contrario, sui blog del settore il confronto è acceso e specialistico, poco digeribile per chi non è pratico della materia.
In poche parole: la notizia recente è che sono uscite le date del concorso per l’immissione in ruolo dei docenti: tra il 28 aprile e il 31 maggio le prove scritte impegneranno circa 200mila partecipanti (per un totale di 63mila posti).
Ma il concorso, in realtà, non lo vuol quasi nessuno: non lo vogliono i docenti abilitati che lavorano da anni e che hanno pagato caramente, in termini economici e di impegno, la propria abilitazione. Non lo vogliono i non abilitati, esclusi dalla possibilità di parteciparvi. Non lo vogliono, pare, neppure i docenti chiamati a lavorare nelle commissioni d’esame con compensi risibili.
Vediamo le ragioni nel dettaglio:
A questo concorso potranno partecipare soltanto coloro che sono stati abilitati. Questo può essere avvenuto tramite diversi canali: la frequentazione di una scuola di specializzazione per l’insegnamento superiore, che è stata attiva tra il 1999 ed il 2009, il percorso del “Tirocinio Formativo Attivo”, noto anche con l’acronimo TFA, che ha sostituito la scuola di specializzazione, oppure il conseguimento di una laurea abilitante in scienze della formazione primaria.
Quindi il concorso è stato indetto per valutare docenti che hanno superato un concorso per accedere all’abilitazione, sono stati formati dallo Stato in ambiti identitici ed hanno sostenuto un esame di abilitazione sulle stesse materie del prossimo concorso.
Inoltre, ai docenti abilitati che hanno più di 36 mesi di lavoro alle spalle e che non dovessero passare il concorso non potranno più essere proposti contratti a termine: quindi sarà impossibile farli lavorare ancora nelle file del precariato scolastico, mettendo in atto una sorta di licenziamento di massa.
I supplenti della cosiddetta “III fascia”, precari tra i precari, che non sono ancora abilitati, non potranno accedere al concorso e non hanno ancora notizia certa se saranno attivati a breve percorsi abilitanti per la propria materia di insegnamento.
I docenti, che hanno creato un movimento contro il concorso,  hanno poi chiesto la solidarietà dei colleghi chiamati per la loro valutazione, denunciando il compenso irrisorio stabilito (circa 250 euro in totale, quindi circa 50 centesimi/ora) ed invitandoli a ritirare la propria candidatura.
Quindi, a ormai poche settimane dall'inizio del concorso, la situazione è ancora burrascosa, come d'altronde si prevede che sarà l’inizio del prossimo anno scolastico.

È stata lanciata una petizione ondine contro il “Concorso truffa” (reperibile qui https://www.change.org/p/stop-al-concorso-truffa-gli-italiani-devono-sapere-matteorenzi-stegiannini ). Inoltre dal 7 aprile è in corso la raccolta firme per il referendum abrogativo de “La buona scuola”, che si prolungherà fino al 7 luglio.
(Eleana Marullo)

OLI 428: CULTURA – L’aratro, la spada e il “restauro” (che fa propaganda o è solo eccesso di zelo?)

26 marzo 2016, nel comune di Roccavignale (SV), lungo la strada tra Millesimo e Montezemolo.
“È l'aratro che traccia il solco profondo, ma è la spada che lo difende. E il vomere e la lama sono entrambi di acciaio temprato come la fede dei nostri cuori”. Così disse Benito Mussolini, nel discorso pronunciato per l’inaugurazione della Provincia di Littoria (oggi Latina), il 18 dicembre 1932.
 L’efficiente macchina della propaganda fascista si impadronì subito di tale frase ad effetto tipica della retorica mussoliniana, che, abbreviata, fu riportata su un’infinità di prospetti di edifici pubblici e privati in tutta Italia – soprattutto in ambito rurale – insieme a molti altri aforismi del duce disseminati ovunque, in un’opera di capillare indottrinamento delle masse meno acculturate e più sensibili alle suggestioni delle lapidarie semplificazioni, avendo scarsa o nulla consuetudine con testi più complessi e articolati. 
Ad esempio, una delle tante campeggiava nel 1937 nella bonifica di Palidoro, nell’Agro Romano: 
Numerose altre testimonianze di questa cosiddetta “scrittura esposta d’apparato”, risalenti per lo più agli anni trenta del secolo scorso – ormai documenti storici da tutelare, a prescindere dai messaggi che veicolano – si conservano sbiadite, ma ancora più o meno ben interpretabili, sull’intero territorio nazionale. Una riflessione di Antonello Ricci, non recentissima ma sempre condivisibile, sull’esigenza di conoscere e salvaguardare tale patrimonio – riferita al caso specifico del Viterbese, ma valida dappertutto – fu pubblicata nel 1984 sulla rivista “Biblioteca e società” e ad essa si rimanda. 
I resti consunti di una di quelle scritte erano perfettamente leggibili fino a non molto tempo fa anche su un rettangolo di intonaco applicato un’ottantina d’anni fa su un edificio in pietra nella campagna di Roccavignale, in provincia di Savona, lungo la strada che unisce la Liguria al Piemonte, tra Millesimo e Montezemolo. 
Da qualche mese, chi si trova a salire lungo tale carrozzabile non può non notare come si presenta adesso l’iscrizione. A seconda del proprio orientamento politico, può gioirne oppure rimanerne allibito. Di certo, non indifferente. 
Appare nuovissima, perfettamente ridisegnata in nero col tipico carattere geometrizzante di gusto déco – largamente usato nell’epigrafia monumentale fascista e reso allora con l’ausilio di mascherine – spiccante sul fondo ridipinto di bianco. 
Un’operazione a dir poco sconcertante, che suscita alcune domande che sarebbe bene avessero risposta. 
Innanzitutto, si tratta di un episodio isolato o vi sono altri casi analoghi? 
Poi, di chi è stata l’iniziativa? Di un singolo privato, di un’associazione o di un ente pubblico? Quale? Con quali risorse economiche? Chi ne è stato l’esecutore materiale? 
E soprattutto, per quale motivo? 
Se si è inteso semplicemente salvaguardare una memoria storica, lo si è fatto nel peggior modo possibile: da oltre mezzo secolo, restaurare non significa più rifare di sana pianta cancellando ciò che appare deteriorato, ma risanare e conservare quanto è sopravvissuto nella sua autenticità, senza annullare i segni del trascorrere del tempo e limitandosi a quelle integrazioni indispensabili alla leggibilità dell’opera, che devono essere sempre e comunque distinguibili dal testo originale. 
Se invece con questo “restauro” si è voluto fornire un sia pur modesto contributo alla riabilitazione di un periodo nefasto, ma che molti continuano a rimpiangere, e soprattutto della ideologia e della prassi di cui esso fu espressione, sempre pronte a riaffiorare e riprendere vitalità, allora bisogna davvero stare in guardia. 
Non è affatto rassicurante leggere molti dei commenti su YouTube ai filmati dell’Istituto Luce che abbiamo proposto, tuttora inneggianti all’uomo che condusse l’Italia alla rovina, per giunta senza neppure intravvedere tutto il grottesco di cui era impregnato il suo stile comunicativo, al contrario splendidamente colto e sbeffeggiato negli Stati Uniti già alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale da chi di comicità se ne intendeva. 


(Ferdinando Bonora – fotografia dell’autore)