martedì 29 marzo 2011

OLI 295: SOMMARIO

VERSANTE LIGURE - RAÌSSILVIO (Enzo Costa e Aglaja)
CITTA' - Cornigliano, la stazione e il suo degrado, in dieci foto (Eleana Marullo)
CITTA' - Mazurka Clandestina (Paola Pierantoni)
CULTURA – Assalto alla Banca (Ferdinando Bonora)
UNIVERSITA' - Auguri Mohamed (Bianca Vergati)
PAROLE DEGLI OCCHI - H2O (foto di Paola Pierantoni)
LETTERE: Sì al "no" (ma se olofrastico) (Franco Bampi e Aglaja)
LETTERE – Quando il sonno della ragione genera mostri: il caso De Mattei (Elena Gagliasso)
LETTERE - Nucleare: ci ripensi (Gian Franco Migone de Amicis)

OLI 295: VERSANTE LIGURE - RAÌSSILVIO

È muto, sofferente
e consolarlo è vano
or livido or piangente,
in pieno dramma umano:
non ci può fare niente
rimpiange un dì lontano:
“In mezzo a tanta gente
io l‘afferrai, ma piano:
fu un tenero, struggente
intenso baciamano!”.


Versi di ENZO COSTA

Vignetta di AGLAJA

OLI 295: CITTA' - Cornigliano, la stazione e il suo degrado, in dieci foto

Figura 1 Copertina della Domenica del Corriere 24 gennaio 1926
Visita guidata a Cornigliano. La meta, per esattezza, è la stazione. Ci arriviamo non per il grande rettifilo principale, via Cornigliano, ma scivolando attraverso le stradine laterali a valle di questa, che un tempo spiovevano come rivi verso le spiagge della famosa località balneare. Nel 1926 per la stazione (che all’epoca era in posizione più centrale rispetto al quartiere) passò il convoglio che trasportava la salma di Margherita di Savoia: in una tavola illustrata della Domenica del Corriere si vede, sullo sfondo, la grande spiaggia di Castello Raggio (Figura 1). Di questo passato idilliaco rimane traccia soltanto nella toponomastica: una stradina che ora conduce ad un’inferriata, fiancheggiando l’enorme parcheggio dell’ex Italsider, si fregia del nome Vico alla Spiaggia (Figura 2). Mi ricorda un’anziana signora, carica di una incalcolabile quantità d’anni e di rughe, che sfoggiava con leggiadria il nome Afrodite. Continuando per via Bertolotti, che costeggia a valle la strada principale, entriamo nello spirito giusto per visitare la stazione di Cornigliano con un lento procedere attraverso le macerie degli impianti ex Italsider (figura 3 e 4). Se le rovine non fossero sufficienti a prepararsi al degrado, vi consiglio di riportare alla mente lo spezzone di un film che molto si addice: un episodio di Allegro ma non troppo in cui i disegni di Bozzetto accompagnano il Valzer triste di Sibelius.
Figure 2, 3 e 4 - Foto Eleana Marullo
Eccoci quasi arrivati: appare la facciata della stazione, il cui restauro è terminato nel 2009 (figura 5). Gli esterni sono ancora dignitosi ma appena si entra lo spettacolo cambia, bruscamente. Non esistono biglietterie, neppure automatiche. La sala d’attesa è chiusa da una rete metallica, che non impedisce al popolo notturno delle stazioni di entrarvi e lasciare segno. Nel paradosso, le tracce del passaggio umano si riducono all’essenziale: qualche buccia di banana ed un tappeto di gratta&vinci, che non hanno salvato nessuno dalle miserie dell’esistenza e giacciono al suolo come foglie secche (figura 6).
Figure 5, 6 e 7 - Foto Eleana Marullo
Il sottopassaggio che conduce al secondo binario si fa latore dei messaggi d’amore e di disperazione dei graffitari locali (figura 7). I liquami sul pavimento ci avvertono che qualcuno è stato qui, di recente. Arrivati sul secondo binario lo sguardo vaga sul piazzale vuoto: delle macerie metalliche che fino a qualche mese erano accatastate al suolo non rimane che qualche pozzanghera rossa e ferrosa (figura 8). Girandosi a monte, altri cumuli di macerie (calcinacci, oggetti dimenticati, ferraglia) si accalcano alla vista (figura 9 e 10).
Figure 8,9 e 10 - Foto Eleana Marullo
Il 28 luglio 2010 il Corriere Mercantile riportava un servizio sulle stazioni del ponente genovese. Incuria, degrado, atti vandalici ed un pervasivo senso di abbandono: “Brutte, sporche, inospitali: ecco le stazioni Rfi. Cornigliano è la peggiore”. A distanza di qualche mese la situazione non è di certo cambiata. Ed al degrado che accompagna, endemicamente, le stazioni del ponente (fuori da forti circuiti economici, fuori da interessi turistici o balneari), si aggiungono le cicatrici pesanti del passato ed i segni di uno “stress postraumatico” di quartiere. (Eleana Marullo)

OLI 295: CITTA' - Mazurka Clandestina


E’ stata la prima volta per Genova. Sabato 26 marzo, sera piovigginosa e scoraggiante, alle dieci e mezzo di sera trecento persone si sono incontrate nel grande spazio, fino ad un istante prima assolutamente deserto, della Galleria Darsena, dietro al Museo Galata. Un piccolo impianto di amplificazione portatile, giacconi, cappotti, borse abbandonati per terra, e inizio delle danze. Il repertorio è quello popolare francese: balli in cerchio e balli di coppia, valzer e mazurke, appunto. Età dalle giovanissime alle mature. Dopo un’oretta iniziano ad aprirsi le custodie e appaiono fisarmoniche, chitarre, violini, flauti.
Dalle borse escono panini e bottiglie, ma il bar nei pressi deve aver comunque festeggiato incredulo l’evento totalmente inatteso. A notte inoltrata una torta con candeline accende un punto di luce: si festeggia un compleanno.
Il fenomeno è quello della “Clandestina”: una rete di relazioni nate nel mondo della danza popolare lancia un appuntamento informale in un luogo di una città. La comunicazione passa solo attraverso mail, Facebook, sms: nessun altro preavviso. Le esigenze tecniche sono minimali: CD, un piccolo amplificatore, e poi non mancano mai i suonatori.
Non è molto che sono nate le Clandestine, l’inizio è il 2009. Se ne svolgono a Torino, Milano, Napoli, Roma … ma anche in Francia, in Spagna, a Praga, a Londra.
Irene Gonzales di Napoli (*) li descrive come “Eventi totalmente gratuiti, non patrocinati da nessuno, che non mettono in gioco nessun tipo di organizzazione o associazione” e che “si svolgono in luoghi poco usuali della città, poco popolati alla sera, in cui portiamo la nostra bellezza”.
Marco Gheri, uno degli organizzatori di quella genovese, mi parla dello spirito che le anima, e che è lo spirito della “festa”, rito sociale scomparso dalle città, vivo ormai solo in ambiti territoriali molto specifici, ma che covando sotto la cenere nel cuore dell’uomo, ha trovato nuovamente il modo di esprimersi: stante le condizioni al contorno.
Come definire una festa? E’ una comunità che si incontra e che in quel tempo e in quel luogo vuole esprimere e condividere la gioia, attraverso la musica, la danza, il cibo, il vino, le chiacchiere. C’è chi balla bene, chi balla male, chi non balla affatto: non ha nessuna importanza. Un tempo era la comunità del territorio, del paese, del quartiere, che si incontrava. La comunità delle clandestine si muove su spazi più articolati. C’è una rete che si incontra da una città all’altra, relazioni che corrono attraverso l’Italia e l’Europa, scambi di ospitalità, amicizie, partecipazioni ai festival europei di musica popolare, e questo è il nucleo che anima e suggerisce gli eventi; poi c’è l’incontro, quel giorno, con le persone del posto, molte fanno parte di gruppi di danza popolare, ma c’è anche il passante, quello a cui è giunta la voce, e che magari, prima o poi, entrerà nel cerchio.
(*)INTERVISTA A IRENE GONZALEZ.pdf

(Paola Pierantoni)

OLI 295: CULTURA – Assalto alla Banca

Sabato 26 e domenica 27 marzo si è svolta, come di consueto da 19 anni a questa parte, la Giornata Fai di Primavera.
In questa edizione, i volontari del Fondo per l’Ambiente Italiano hanno organizzato e gestito in tutta Italia il servizio dell’apertura straordinaria di circa 660 beni che normalmente sono chiusi del tutto o in parte, oppure che – pur accessibili al pubblico – non hanno la notorietà e la frequentazione che meriterebbero.
Di questi, per l’anniversario dell’Unità, circa 150 erano legati al Risorgimento, come i due scelti dalla Delegazione Fai di Genova: il Museo del Risorgimento – Istituto Mazziniano e la Banca d’Italia.
Il successo oltre ogni aspettativa conferma il gradimento dell’attesa ricorrenza e il desiderio dei cittadini di conoscere e di sentirsi consapevoli comproprietari di un patrimonio che appartiene a tutti, trasmessoci da chi ci ha preceduto e che siamo tenuti a lasciare in eredità a chi verrà dopo di noi.
Un bilancio più che positivo: sono stati circa 1500 i visitatori al Museo e oltre 8000 quelli che si sono messi ordinatamente in coda per accedere agli inaccessibili interni della Banca il cui nucleo iniziale – la Banca di Genova, poi Banca Nazionale – nacque proprio a Genova nel 1844 e il cui direttore Carlo Bombrini sostenne economicamente a più riprese la politica civile e militare di Camillo Benso conte di Cavour.

(Ferdinando Bonora, fotografia di Lietta Dufour)

OLI 295: UNIVERSITA' - Auguri Mohamed

In controtendenza con il resto d'Italia l'Università di Genova aumenta gli iscritti del 5% ma la Facoltà di Ingegneria dimagrisce per effetto della riforma Gelmini, pur aumentando del 10% le matricole.
Diminuiscono non gli alunni ma i professori, ne mancano oltre sessanta fra pensionati non più sostituiti e mancate assunzioni: chissà se la sentenza del tribunale di Genova farà testo ora che il Ministero della P.I. è stato condannato a risarcire i precari poiché di fatto "Sussiste un fabbisogno certo e non episodico della prestazione", visto che i docenti anno dopo anno vengono riconfermati nell'incarico (Il Sole 24 Ore, 26 marzo).
Anche i corsi si riducono, alcuni rischiavano di sparire, non raggiungendo il quorum dei cento iscritti, come elettronica ad esempio, e così sono stati accorpati. Si darà maggior spazio alla tecnologia dell'informazione insieme all'elettronica: forse non sarà studiato il caso Mediaset con meno spettatori e sempre più pubblicità. Si istituisce una laurea in yacht design a La Spezia, di cui ne esiste soltanto un altro esempio a Southampton, forse perché sono aumentati i ricchi vogliosi di mega-imbarcazioni, pur essendo in crisi il mondo, cantieri compresi.
Già funzionano corsi in inglese a Savona per l'energia, e a Genova per la robotica.
Insomma una proposta culturale nuova per internazionalizzare l'offerta e attrarre studenti dall'estero perché è proprio all'estero che i nostri laureati piacciono e anche le nostre lauree.
Auguri ragazzi, intanto facciamo il tifo per Mohamed Z., cittadino marocchino, che si laureava in questi giorni nella triennale di Ingegneria Meccanica. Non era partito bene cinque anni fa e al primo corso aveva copiato un compito di disegno, mettendo nei guai un altro studente: compagni e professore però avevano capito e lui, che masticava un franco-italiano stentato, è arrivato al traguardo. Chissà se continuerà gli studi, se rimarrà in Italia, magari tornerà al suo paese e cercherà di essere parte attiva di quel mondo, che ha tanto bisogno di tutto. Ma c'è un futuro là per chi ha fatto tanti sacrifici per studiare?
Ci consolerebbe sapere che dall'Occidente potessero arrivare nel Nord Africa in tumulto, giovani preparati per aiutare il proprio paese, nuovi cittadini che sappiano far progredire queste giovani società.
La colpa più grande dell'Europa è quella di non aver aiutato le sue ex colonie a formare nuove classi dirigenti, a rafforzare il tessuto sociale, la cultura del diritto e delle tecnologie: comodo il rais di turno.
Faticosamente istruzione e cultura si sono fatti strada e con la Rete si è fatta la rivoluzione.
Troppe le diseguaglianze, la povertà e l'anelito di democrazia.
Certo viene alla mente il ricordo di un altro Mohamed, disoccupato, ambulante occasionale per sopravvivere, datosi fuoco in Algeria perché la polizia aveva distrutto il suo carretto di merci. Mohamed Bouaziz era laureato in economia.
(Bianca Vergati)

OLI 295: PAROLE DEGLI OCCHI - H2O

Foto: Paola Pierantoni
22 marzo, giornata mondiale dell'acqua: i sostenitori del referendum contro la privatizzazione dell'acqua disegnano nella città un lungo acquedotto di palloncini azzurri per ricordare a tutti che gli interessi in gioco sono enormi, e che il 12 giugno bisogna assolutamente raggiungere il quorum.



OLI 295: LETTERE: Sì al "no" (ma se olofrastico)

Sperando di contribuire al miglioramento della qualità di “Oli” segnalo che, nel bell’articolo della prof. Marta Sereni,
a un certo punto si legge «Cattolici e non:...» Bene, l’italiano è errato. In italiano corretto si dice «Cattolici e no». Per saperne di più si veda qui
Ho ritenuto di segnalare la cosa che riguarda una delle mie due battaglie (già perse, purtroppo) sul mantenimento del “no olofrastico” e sull’intransitività del verbo “inerire” (si dice “inerente a” e non “inerente il”).
Cordialmente,
Franco Bampi

°°°
Rispondo volentieri al professor Bampi, che, nelle sue vesti di esponente del Mil, conosco bene per essere stato spesso illuminato - direttamente o indirettamente - dai Lanternini satirici di Enzo Costa (e talora dalle mie vignette che li illustrano sul web).
In questa occasione, tuttavia, mi schiero a spada tratta al fianco del professore impegnato nella battaglia per il mantenimento del "no" olofrastico. Non tutto è perduto, non si avvilisca! In nostro soccorso scende in campo anche un cavaliere (no, non quel Cavaliere...) della lingua italiana di tutto rispetto: Luca Serianni, che ha scritto un interessante intervento, riguardante proprio l'uso dell'avverbio olofrastico, apparso su La Crusca per Voi (n. 11 ottobre 1995), articolo che può essere ritrovato seguendo questo LINK.
Il nostro comune impegno di difensori della lingua italiana (ma non dimentichiamo che il professor Bampi è anche uno dei massimi esperti della lingua genovese) non ci faccia però perdere di vista il contenuto - a mio avviso condivisibile - della lettera della professoressa Marta Sereni che, con l'episodio riportato, rivela ancora una volta lo stato di sofferenza dell'istruzione pubblica.
Un saluto cordiale
Aglaja

OLI 295: LETTERE – Quando il sonno della ragione genera mostri: il caso De Mattei

Da qualche giorno circola in rete questa lettera, con relativi link di approfondimento e per l’adesione alla raccolta firme. Anche la redazione di Oli l’ha ricevuta e – condividendola in pieno – la ripropone ai lettori con l’invito a diffonderla e a sottoscrivere la petizione.
(Ricordiamo che l'indirizzo email che sarà usato per firmare la petizione potrebbe essere usato a scopi commerciali dal sito in questione).

DIMISSIONI DEL VICEPRESIDENTE DEL CNR ROBERTO DE MATTEI
S’è formato in questi giorni un gruppo aderente a Cronache Laiche che ha lanciato in facebook una petizione per chiedere le dimissioni di De Mattei (vicepresidente Cnr) alla luce delle sue dichiarazioni rese a Radio Maria sul terremoto in Giappone come “segno della punizione di Dio” e purificazione delle anime.
Leggete l’intera intervista nel sito. I cattolici considerino che mai il Papa si esprimerebbe così.
Il Cnr è un importante istituzione scientifica italiana, non ecclesiale.
E la pietà un tratto umano universale.
Abbiamo in pochi giorni raggiunto circa mille firme e ora lo stiamo facendo girare fuori facebook attraverso le mail.
Se vi convince, oltre a firmare, diffondetelo.
(Elena Gagliasso) - Facoltà di Filosofia Università “La Sapienza” di Roma

OLI 295: LETTERE - Nucleare: ci ripensi

Sono d'accordo per la pausa di riflessione, ma non su abbandonare il nucleare.
1 - Se in Italia ci fosse un sisma come quello di Fukushima, l'Italia sarebbe distrutta "da Napoli ad Ancona" (Rai 1)
2 - I reattori BWR sono obsoleti
3 - Per quei reattori si doveva prevedere un modo automatico per versare acqua senza elettricità (per esempio, costruire i reattori vicino a una centrale idroelettrica, per disporre dell'acqua dell'invaso). Comunque incredibile che non fosse garantita l'energia di riserva
4 - comunque si deve pensare NUCLEARE ANCHE e non Nucleare si - Nucleare no
5 - intanto i francesi, che hanno energia a costo inferiore di 1/3, si stanno comprando pezzi di Italia: Parmalat, Generali, Carige, ATM, Bulgari ... (dimenticavo: Galbani, Locatelli,  Cademartori, Invernizzi)
Noi contribuenti paghiamo lo sconto sull'energia di Alcoa, per non lasciare la Sardegna
Io gestivo 50 MW, dove crede che siano ora? in Francia! l'Azienda da 2300 dipendenti ora è a 800.
Vive l'atome, vive la France!
Ci pensi
(Gian Franco Migone de Amicis)

martedì 22 marzo 2011

OLI 294: VERSANTE LIGURE - SCILIPOTIZZABILI

Si dicon responsabili
ma oscuro è il loro humus:
volubili? Volabili?
del Vuoto hanno il fumus.
Son scilipotizzabili
oppur carne da Floris?
Venduti? Rivendibili?
Bizzarra o rara avis?
Hanno animi insondabili,
i nuovi berluscones
incognite, variabili
per cui “hic sunt peones”.


Versi di ENZO COSTA

Vignetta di AGLAJA

OLI 294: NUCLEARE - La catastrofe necessaria

Caorso, maggio 1987 - catena umana contro il nucleare - Foto Pierantoni
Per prendere atto delle conseguenze di quel che fanno pare sia indispensabile agli uomini che si compiano le catastrofi. E qui uso il termine “uomini” non per indicare l’umanità tutta, ma con un peso fortemente sbilanciato verso il maschile.
Riprendo in mano gli atti – mai pubblicati - di un corso di formazione - otto incontri nell’arco di un mese - che alcune donne della Fiom organizzarono a Genova esattamente 20 anni fa, nel 1991.
Il titolo era “Donne e innovazione tecnologica”. Si partiva dalla “estraneità” delle donne verso un sapere tutto maschile, per tentare di trasformare questa estraneità in capacità di agire sulla realtà, e modificarla.
Parteciparono delegate sindacali da tutto il Nord Italia. Le docenti erano donne di grande livello professionale e intellettuale.
Tra loro Elisabetta Donini, docente di Fisica alla Università di Torino, che metteva in discussione, con molta radicalità, “Lo spirito prometeico per cui la sfida al rischio, la volontà di superare tutte le barriere continua a indurre gli uomini ad esaltare come coraggio la capacità di affrontare dei pericoli”, e la conseguente ossessione “che le difficoltà si possano sempre dominare con il successivo passo scientifico-tecnologico, acquisendo maggiore capacità di dominio”. Ma dove sta la saggezza di questo coraggio? si chiedeva la Donini, quello che bisogna rivendicare è invece “la saggezza della paura”, la “coscienza del limite” e la “amichevolezza verso gli errori”, cioè saper rinunciare alla pretesa di non commettere errori, e imparare a “convivere con gli errori, rendere gli errori i più riparabili possibile, e nel possibile”. Rinunciare alla pretesa della onnipotenza, per cui “ogni sconfitta viene elaborata in: bene, adesso diventiamo più bravi e lo facciamo meglio”.
Ma le discussioni appassionanti di quelle otto giornate sono rimaste chiuse nella memoria e nelle emozioni delle donne che vi parteciparono, e in un plico di fogli depositati in un archivio. A Genova, e in chissà quante altre parti del mondo.
(Paola Pierantoni)

OLI 294: CITTA' - La finestra sulla villa (Serra di cornigliano)

Villa Serra di Cornigliano in una cartolina d'epoca
Mi professo fortunata: abito a Cornigliano. Ogni giorno, quando apro la finestra di casa, mi si offre una cartolina da un’altra epoca: incorniciata dallo squadro degli stipiti in legno, appare una villa fatiscente, testimone muta di fasti passati e di presenti, durevoli manchevolezze. Vedo un degrado solido e costante, inesorabile come lo scorrere della sabbia nella clessidra: un giorno si stacca un pezzo di intonaco, il giorno dopo una persiana si scolla dalle cerniere, passa un mese e crolla un tavolato dalle ferruginose impalcature, un altro ancora e salta un intarsio dai marmi del pavimento, sul terrazzo. Eppure sono pochi anni che abito qui davanti e che spio – con un voyeurismo un po’ morboso -questa decadenza plateale. Quante volte mi sono ritrovata a pensare al “povero” Domenico: che cosa avrebbe pensato di fronte alla colpevole negligenza dei posteri?
Villa Serra di Cornigliano fu infatti commissionata nel 1787 dal marchese Domenico Serra ad Andrea Tagliafichi. Progettista, scenografo, decoratore ed ingegnere civile ed idraulico, oltre che architetto, costui era molto famoso all’epoca, un personaggio assai “quotato” e di chiara fama, ricercato dalle maggiori famiglie genovesi per la sua abilità nell’abbinare al gusto classico un nuovo modo di concepire il giardino. Tagliafichi lavorò molto a Genova: tra i suoi progetti il recupero di Villa Doria de Mari (a Sampierdarena,1780), il parco di Villa Lomellini Rostan (alla foce del Varenna, 1780), la ristrutturazione della Villa Durazzo-Rosazza ( a Dinegro, 1787) e Villa Durazzo Groppallo nella zona di Manin.
Mentre lavorava a Villa Durazzo-Rosazza, Tagliafichi ricevette l’incarico di costruire ex novo una villa per la famiglia Serra a Cornigliano, e se ne occupò in prima persona, dalle fondamenta al giardino, fino ai particolari dell’arredo. Grandi aiole a prato, palme e alberi sempre verdi fiancheggiavano i vialetti, una rinomata collezione di azalee trovava posto sulle gradinate alle spalle della villa, mentre un giardino d'inverno ricco di piante esotiche completava le delizie del parco. Nel 1916 la villa fu venduta dal marchese Orso Serra al comune di Cornigliano Ligure.
Dell’opera di Tagliafichi rimangono ad oggi soltanto monconi: il parco di Villa Doria de Mari è stato distrutto dalle lottizzazioni, mentre la ferrovia e gli impianti industriali hanno eraso quello di Villa Lomellini Rostan e mutilato quello di Villa Durazzo Pallavicini.
Sarà per questa consapevolezza che guardavo ogni giorno con maggiore desolazione alla decadenza della villa, mia dirimpettaia. Fino a quando…
(Eleana Marullo)

OLI 294: CITTA': 1,8 milioni di euro per Villa Serra

Lavori in corso a Villa Serra di Cornigliano.
Foto E. Marullo
Fino a quando, è cominciato a cambiare qualcosa. Prima è apparsa una grata metallica a delimitare il perimetro della villa, poi i castelli di impalcature (questa volta vere e operative, non come quelle che intelaiavano i muri della villa perché non crollassero, ferme lì dal 1992 e ormai rosse di ruggine). Il 3 novembre 2010 è stato inaugurato il cantiere per i lavori di recupero e valorizzazione di villa Serra di Cornigliano.
Questo restauro arriva da lontano: è infatti applicazione della Misura A3 (recupero e valorizzazione del patrimonio architettonico), citata nel documento “Programma integrato di riqualificazione urbana di Cornigliano” (http://www.percornigliano.it/images/stories/pdf/2009_progr.%20integr.%20riqual.%20urb..pdf), che a sua volta è attuazione dell’accordo di Programma (1999), secondo le modifiche introdotte nel 2005. Insomma, tutto - in sintesi - è figlio degli accordi per la dismissione della cosidetta “Area a caldo” e per la bonifica del quartiere gravemente compromesso dai costi – sociali ed ambientali – della presenza dell’Ilva.
Le risorse finanziarie che dovrebbero alimentare la riqualificazione urbana di Cornigliano, si legge nel documento, ammontano ad un totale lordo di 216 milioni di euro, garantiti in parte dal Ministero dell’Ambiente ed in parte da quello delle Infrastrutture e dei Trasporti . La somma sarebbe da destinarsi così: 65-70 milioni di euro per la bonifica delle aree ex Ilva, 90-100 milioni di euro per le infrastrutture (strada di scorrimento a mare e nuova delimitazione dello stabilimento Ilva), mentre i restanti 45-60 milioni ricadrebbero a pioggia per gli interventi di riqualificazione urbana.
Nell’ambito di questi ultimi, a villa Serra è toccata una quota di 1,8 milioni di euro. La ristrutturazione prevede interventi sugli esterni della villa: il tetto in ardesia, gli intonaci, le balaustre e le pavimentazioni in marmo, mentre il recupero del giardino è rimandato ad una futura fase di attuazione dell’accordo di programma. I lavori, che a quanto vedo dalla finestra, procedono speditamente, dovrebbero essere terminati a gennaio 2012.
I finanziamenti stanziati sono gestiti dalla Società per Cornigliano, mentre l’intervento è eseguito operativamente da Sviluppo Genova (società a partecipazione mista pubblico-privata) su mandato della Società per Cornigliano (costituita da Regione, provincia, Comune e una società partecipata del Ministero dell’Economia). Gli obiettivi della riqualificazione del quartiere, a sentire le parole di Da Molo, che ne è direttore, sono elevati: “Verrà pertanto realizzato un “Master Plan”, non limitato all’area dismessa dallo stabilimento siderurgico, ma che riguarderà l’intera Cornigliano (con particolare riguardo a Via Cornigliano, all’area dell’attuale rimessa degli autobus, a Villa Bombrini e a Villa Serra) e che prevederà funzioni miste, sia a livello di quartiere, che a livello sovra comunale […] L’ideale sarebbe quello di collegare il nascente polo ai temi della scienza e dell’industria, che hanno fortemente connotato nel passato, ma ancora connotano nel presente e nel futuro (Finmeccanica, IIT, Erzelli, etc.) Cornigliano e, in generale, il Ponente genovese” (http://www.cultureimpresa.it/04-2006/italian/punti04.html).
La destinazione che avrà la villa dopo i lavori di ristrutturazione non è ancora specificata, sebbene la sindaco Vincenzi abbia parlato di “polo di innovazione, incubatore di imprese” (http://www.genova24.it/2010/11/cornigliano-1-8-milioni-di-euro-per-il-restauro-di-villa-serra-1860).
Non ci resta che aspettare, a questo punto, che villa Serra completi il maquillage…
(Eleana Marullo)

OLI 294: ILVA – Di nuovo le donne

Fotografia tratta dal sito di La Repubblica, ed. Bari
Questa volta sono le “Donne per Taranto”, città che vive sotto i fumi dell’Ilva. Donne che si costituscono in comitato “a favore della tutela della vita e della salute“, per chiedere “la creazione di mappe epidemiologiche”, per rivendicare una “economia più pulita che non causa inquinamento e distruzione”, donne che si preoccupano del fumo rosso che grava “sulle case dove vivono i nostri bambini”.
Ne parla – isolatamente - La Repubblica del 21 marzo, pagina nazionale, con un articolo di Giovanni Di Meo.
Anche a Genova furono le donne del Comitato salute e ambiente a mettere – antipaticamente – in discussione il fatto che fosse “inevitabile” pagare in salute il diritto al lavoro. A sparigliare gli equilibri, a percorrere la via della “irragionevolezza”, a chiedere a industriali, istituzioni e sindacato la capacità di progettare un lavoro che non facesse male.
Le donne tarantine richiamano in un loro comunicato quel che avvenne a Genova, l’indagine epidemiologica che nel 2001 determinò la decisione di chiudere l’area a caldo dell’Ilva, ma ormai l’idea che l’Ilva di Cornigliano e quella di Taranto appartengano allo stesso gruppo sembra svanita dalle coscienze. Anche quella del sindacato: che ognuno si arrangi con le sue polveri, il suo inquinamento, le sue malattie e la sua disoccupazione.
(Paola Pierantoni)

OLI 294: SANITA' - Recco, ospedale sì, ospedale no

Il carnevale di Recco di domenica 20 marzo 2011 non è stato solo un momento di gioia per grandi e piccini, con musica dal vivo, clowns, pentolaccia e milioni di coriandoli. Insieme alle molte persone intervenute per divertirsi c'era anche una rappresentanza del comitato cittadino che si sta opponendo alla chiusura dell'ospedale Sant'Antonio. Il piccolo ospedale serve un'area vasta del territorio e con il suo pronto soccorso rappresenta una sicurezza per la salute di tutti gli abitanti, anche delle valle sovrastanti Recco.
Ha lasciato perplessi in questa occasione la scarsa partecipazione della cittadinanza presente sul lungomare, che si è limitata a dare un'occhiata al gruppo dei contestatori, vestiti a sandwich con scritte di protesta. Era presente anche la bara dell'ospedale, ormai divenuta il simbolo delle contestazioni anche per altre occasioni quali il Teatro Carlo Felice di Genova.
Il giorno dopo, lunedi 21, inizia l'occupazione dell'ospedale, per impedire in extremis che inizi il trasloco delle apparecchiature nelle nuove strutture. La protesta nasce dalla fondata preoccupazione di dover affrontare un viaggio fino a Genova in caso di codici di gravità particolarmente gravi, ma anche dalla scomodità di ricoveri in medicina o ortopedia troppo distanti dai luoghi di residenza. La riviera ligure è popolata per di più da persone anziane, costringerle ai ritmi derivanti da una gestione solamente economica della sanità rispecchia il fallimento del tipo di politiche intraprese fino ad oggi in generale in Italia. Si parla per posti letto, per fatturati pro capite, gli ospedali sono diventati "aziende", i malati gli "utenti", si spendono milioni di euro per pitturare stanze vuote. Come se andare in un ospedale fosse uguale che a recarsi in banca a litigare col direttore per gli interessi. Mentre si dialoga dei massimi sistemi legati ai fatturati e ai costi sempre più esorbitanti della sanità, si perdono di vista sin le cose più semplici: al pronto soccorso di san Martino a Genova, una porta a vetri all'ingresso ambulanze che si apre e si chiude continuamente nell'indifferenza di qualsiasi dipendente, oppure viene realizzata una sala di attesa inutile perché lontana dalla porta dell'ambulatorio per il quale si attende la chiamata, col risultato che la coda si forma nel corridoio del p.s., bloccando le barelle in transito, tra i lamenti da parte di un personale che non si pone nemmeno più il problema di capire il perché i malati "preferiscano" stare in piedi due ore. E se glielo spieghi, ti guardano come se fossi un fuoriuscito da psichiatria.
La gente è stanca e disillusa delle parole di chi gestisce, la politica dei professionisti ha fatto il suo corso e abbiamo bisogno di un nuovo modo di amministrare. Anche di fronte alle promesse ed anche ai primi atti della Regione che assicura la creazione di Tac e ambulatori con stanziamento già accordato dal Consiglio regionale, l'occupazione continua ad oltranza perché nessuno dei 150 occupanti si fida più, e prima di abbandonare la posizione vogliono vedere i fatti. Non è un caso che alcuni si incatenano di fronte all'ingresso con in mano le tessere elettorali nell'atto di essere strappate.
In realtà nessuno è poi convinto di intervenire per mandarli via: dagli stessi operai della ditta che non possono eseguire il lavoro di trasloco ma che solidarizzano, agli stessi Carabinieri, che usufruiscono essi stessi della struttura e si limitano a "prendere le generalità", in mancanza di un ordine specifico di sgombero. Certo, questo arriverà prima o poi, e sarà eseguito con la divisa antisommossa alla quale una parte dello Stato che non appartiene più a tutti i cittadini ci ha qualche tempo abituati.
Siamo solo un po' in ritardo rispetto allo stato catatonico della sanità del Lazio, ma ci arriveremo presto: la Liguria non vuole essere seconda a nessuno, tanto meno nel male.
(Stefano De Pietro)


Due manifestanti al Carnevale di Recco

Coriandoli e proteste a Recco il 20 marzo 2011

La bara dell'Ospedale

Intervengono anche i sindaci della riviera

Ogni funerale ha la sua vedova ...

Incatenati all'ingresso dell'ospedale

La "salute" impacchettata

Catene, protesta e certificati elettorali

L'ingresso dell'ospedale

Interno in attesa del trasloco

Sit-in di protesta

All'interno dell'ospedale


OLI 294: DDL Testamento biologico: il rischio di una brutta fine

Wilma aveva ottantatre anni. Aveva insegnato latino e greco tutta la vita. Fino a quando l’Alzheimer non le aveva invaso il cervello, andava in chiesa tutte le domeniche e pregava tutte le sere. Per Natale la costruzione del presepe le occupava un’intera giornata. Era capace di creare montagne altissime, posizionar fondali, distribuire muschio, abilissima a nascondere i fili delle luci.
Wilma cucinava e sapeva spiegare l’Iliade e l’Odissea verso dopo verso. Tre viaggi nella sua vita: Grecia, Roma e Parigi. Poi le vacanze in montagna. Sempre lo stesso periodo. Sempre lo stesso posto. E’ morta in una casa di riposo dopo due giorni di agonia. Il suo volto pareva affogare e riemergere dal mare di una morte cinica ed esitante nel prendersela. Solo l’intervento dell’infermiere di turno, allontanati i congiunti dalla stanza, l’ha aiutata nel trapasso. “Ma le ha dato qualcosa?”, ha chiesto una parente, vedendo il volto che improvvisamente non affogava più. “No. Non ho fatto proprio nulla”, “Ma non vede? E’ morta”, ha insistito la donna. “No. Non è ancora morta. Ma ci siamo vicini. Ancora due minuti”, ha risposto l’infermiere tastandole frettolosamente il collo.
Arthur di anni ne aveva 87. Allettato da due, in casa. Presidi, brodini, panni. Aspettava la morte come un’ospite, allontanando parenti ed amici che andavano in visita. Una vita piena. Così colma di relazioni e interessi che era impossibile per lui accettarne la nuova versione. Arthur non aveva più parole o spunti. Deciso a non essere più, preferiva attendere senza essere disturbato.
Quando gli è stata diagnosticata una grave infezione i medici hanno avvisato i parenti: “Non c’è nulla da fare. Potete portarlo in ospedale, vivrà due settimane con dolore. Potete lasciarlo qui, in casa, morirà prima. Ma morirà meglio.”
Se n’è andato, la sofferenza alleviata dalla morfina. Gli occhi chiusi. Lontana da lui l’agonia di Wilma.
Nel mondo in cui avevano vissuto Wilma e Arthur la morte era tabù, una faccenda privata, relativa al fato e alla volontà di dio. La commentavano con frasi spezzate davanti alla lenta agonia di un amico e di un parente.
Entrambi volevano che, venuto il loro momento, qualcuno se ne occupasse nel migliore di modi. In famiglia. Tra amici. Con discrezione.
Wilma e Arthur non immaginavano di poter diventare liberi, per legge, oltre che della loro vita, anche della loro morte.
In Italia, motivo di preoccupazione è che sulla scelta del singolo di morire dignitosamente qualcuno in parlamento metta le mani, in nome di un dio che è davvero una questione privata.
La raccolta firme promossa dalla Fp-Cgil e Fp-Cgil Medici contro il ddl all’esame alla Camera dei Deputati è una buona notizia per chi si vuole bene e non ha nessuna intenzione di fare una brutta fine.
(Giovanna Profumo)

OLI 294: CITTA' - Il nuovo Puc, lecito sognare

Da un sogno, forse una speranza, parte il nuovo Piano Urbanistico Comunale di Genova: un Puc che ha impegnato più di 60 fra tecnici e architetti, come ha sottolineato la sindaco in sala rossa, per arrivare alla conclusione di un impegno preso in campagna elettorale, messo in cima alle priorità del suo mandato, tanto da tenere a sé la delega all'Urbanistica.Genova si dovrà preparare ad accogliere quasi un milione di persone, 320 mila “city users”, in più, “nomadi”, che verranno magari a lavorare di passaggio per realizzare le grandi opere previste, persone che per scelta o necessità trascorreranno a Genova parte della loro vita.
-Non si pensi ad un aumento di abitanti ma di avere una fascia di persone che gravitano sulla città , spiega la Vincenzi,- l'esempio sono i ricercatori dell'Iit, 600 ricercatori di altissimo livello, che si fermano qui per cinque-sette anni al massimo.
E già verrebbe da chiedersi perché se ne vanno invece di fermarsi.
Così pur partendo da un'analisi del Censis, che conferma per i prossimi vent'anni i 600mila abitanti attuali, si elabora un'ipotesi di città che dovrà espandersi nei servizi, ma non nel consumo di suolo, una città “compatta”, che costruisce sul costruito. Meno male. Peccato che si continui a costruire, vedi i grattacieli di S.Benigno a Ponente o il palazzone di via Rossetti a Levante.
Sono sempre tutte eredità ?
Eppure il Censis parla chiaro: una città-elefante, non gazzella, che crescerà di poco, Anzi entro il 2025 si avrà desolatamente un meno 19% di under 14 , arrivando ad essere soltanto il 10% degli abitanti, mentre gli over 65 saranno un terzo della popolazione: secondo Anci ( Corriere della Sera, 14 marzo) nel 1951 Genova aveva 80mila abitanti in più.
Auguri alla sindaco per un sogno che si vorrebbe disperatamente condividere. Mancano gli attori però per questa città futuribile, la politica e l'economia.
La politica, che si è mossa soltanto con la grande crisi, cieca al declino della città già in atto da molto tempo prima, preoccupandosi poco delle aziende che si rattrappivano, quando non chiudevano o si trasferivano.
Liberando così spazi ghiotti come l'ex Boero, l'ex Verrina, l'ex Italsider, l'ex Saiwa, l'ex, l'ex... e via alla riqualificazione con palazzine, grattacieli, su cui ha investito “la meglio imprenditoria” e le banche.
E al Cardinale che al te deum di fine d'anno tuona: - le risorse ci sono, è imperativo morale metterle in circolo - (Secolo, 2 genn 2011), risponde Viziano, leader dell'omonimo gruppo di costruzioni: - ma la città non sostiene chi fa investimenti.
Mentre il petroliere Garrone scrive una lettera a Il Secolo il 4 marzo 2011: - Abbiamo dovuto sempre lottare in questa città sì bellissima ma così ostile e difficile ... Il motivo del lamento? Non riesce a costruire lo stadio. Tutta roba che dà lavoro.
Inutile affannarsi per un Malacalza che se ne va o ad un Ansaldo che chiede da anni lo sbocco a mare e a cui ancora pochi giorni fa è stato chiesto di aspettare altri tre anni, senza appoggiare mai di fatto il lavoro di eccellenza che rappresenta. Così la Silicon Valley degli Erzelli pare più un'operazione immobiliare che “la cittadella della conoscenza” tanto auspicata: si spera non sia così, anche se il Politecnico che lì doveva nascere e che non si è fatto, politica e imprese l'avevano molto tiepidamente appoggiato.
L'unico affare l'ha messo a segno l'imprenditore della siderurgia, che non lo si riesce a schiodare dagli spazi, datigli in omaggio dalla politica appunto.
La sindaco vagheggia - una città capace di accogliere e di attrarre grazie alle nuove infrastrutture ma anche ad uno sviluppo promesso dal rilancio del porto e dalla nascita di nuove attività sulle aree già oggi libere, oltre un milione di metri quadrati censiti e registrati.
Dunque imprese e lavoro cercasi per un milione di spazi e di persone. Intanto ci si accontenterebbe di un lavoro per quelli che già ci sono.
(Bianca Vergati)

OLI 294: SCUOLA - Lettera di una professoressa

Sul newsgroup it.istruzione.scuola, è stata pubblicata questa lettera della prof.ssa Marta Sereni del Liceo Malpighi di Roma. E' una testimonianza che merita qualche riflessione.


§§§

Sono esterrefatta dell'iniziativa del Ministero dell'Istruzione (non più pubblica), dell'Università e della Ricerca scientifica che, insieme all'Ufficio scolastico regionale della Regione Lazio, ha organizzato una giornata per l'orientamento degli studenti delle classi quinte di tutta la Regione Lazio.
Detto così non ci sarebbe nulla da stupirsi, ma vorrei illustrarvi una serie di particolari non secondari dell'iniziativa in questione:


1) All'incontro, finanziato da quel Ministero che ha prodotto la cosiddetta Riforma Gelmini, con tagli e disastri all'Istruzione pubblica, sono invitate le Università pubbliche e...quelle private (Università Pontificie Romane)!
2) Questo finanziamento non è poca cosa, visto che gli studenti partecipanti, provenienti da tutto il Lazio, saranno 5000! Verrà loro offerto lo spostamento in pullman, gadget e il pranzo. (Stiamo parlando di 100 pulmann e 5000 pranzi, più i gadget)
3) Non è finita qui: perché i pullman? Perché il luogo dell'incontro è lontano da tutto: il Santuario del Divino Amore!
4) Anche il luogo dove si svolgerà il Convegno ne sottolinea l'intento: perché sia stato scelto proprio il santuario del Divino Amore è scritto chiaramente nella Circolare ministeriale inviata ai Presidi. Cito testualmente: "il Santuario del Divino Amore è meta tradizionale di pellegrinaggi che si svolgono soprattutto di notte. Oggi come ieri, il Santuario si offre a tutti - cattolici e di altra religione, credenti e non credenti, italiani e stranieri, tutti cittadini e pellegrini di Roma - come il traguardo di un viaggio notturno, passaggio umano denso di difficoltà ma che si conclude nella luce del mattino. Il pellegrinaggio, lungo cammino attraverso la notte, è evocativo di un messaggio simbolico per i nostri giovani: la vita che viviamo e che costruiamo incontra momenti di buio e sforzo, soprattutto quando si affrontano scelte importanti, e la paura e l'incertezza si confrontano con il desiderio. Sono momenti che ci accomunano tutti nella ricerca interiore delle soluzioni, in un percorso di progressiva consapevolezza che ci consente di "sfondare la notte" nella luminosità
del giorno che nasce."
5) Per finire: gli studenti verranno poi allietati da un musical della Star Rose Academy (Accademia di spettacolo fondata dalle Suore Orsoline) e infine potranno finalmente assistere alla messa celebrata dal Rettore della Pontificia Università Lateranense.


Cattolici e non: non vi sembra un gravissimo (e costosissimo) affronto alla concezione dell'Istruzione pubblica e laica? Possibile che dobbiamo offrire su un piatto d'argento una tale pubblicità alle Università private e cattoliche, soprattutto in un momento in cui la nostra Istruzione pubblica statale è stata colpita così duramente? Possibile che dobbiamo pagare tutto ciò, quando nelle scuole si "tira avanti" a fatica perché manca l'essenziale per il funzionamento?


Vi prego di diffondere e proporre qualche azione politica significativa (un'interrogazione parlamentare?)


Marta Sereni (Liceo Malpighi)


P.S. Per chi volesse sapere proprio tutto, il riferimento ufficiale lo trovate al seguente link:


Nota USR prot. 1702 del 25/01/2011, programma e scheda di adesione [zip, 200 KB]


Convegno "Oggi scelgo io" - Festa dell'orientamento. Roma, 14 Marzo 2011

§§§

(a cura di Aglaja)

OLI 294: CULTURA - UNITA' D'ITALIA E TAGLI ALLA CULTURA


da Repubblica.it del 17/03/11: Il Nabucco in differita, niente diretta per il maestro Muti

Rai3, nella giornata dei 150 dell'Unità d'Italia, ha trasmesso il Nabucco diretto dal maestro Riccardo Muti. Il concerto non è stato però trasmesso in diretta, nella serata che vedeva presente il premier Silvio Berlusconi (fischiato e contestato all'ingresso nel teatro n.d.Aglaja), ma è stata mandata in onda la replica del 15 marzo scorso, nel corso della quale il maestro Muti, come aveva già fatto nel corso della prima serata alla presenza di Giorgio Napolitano, aveva nuovamente coinvolto il pubblico nel bis di 'Va pensiero' (qui nel video)

(a cura di Aglaja)

OLI 294: PAROLE DEGLI OCCHI – Uniti da 150 anni





foto di Giorgio Bergami ©

17 marzo 2011.

martedì 15 marzo 2011

OLI 293: VERSANTE LIGURE - ANALFA(NO)BETISMO

Fai un gesto scorretto
o non solidale
che a te dà diletto
e a molti fa male?
Avrai un bell’effetto
col fard lessicale:
di’ (trucco perfetto)
“È un gesto epocale!”.


Versi di ENZO COSTA

Vignetta di AGLAJA

OLI 293: SOCIAL MEDIA - Cosa succede a 70 km dall’Italia

Sono passati appena tre mesi dal suicidio del giovane Bouazizi, che ha innescato il domino che ha sconvolto il Nordafrica e fatto cadere un dittatore dopo l’altro. Eppure le sorti della Tunisia sono quasi completamente scomparse dalle pagine di cronaca.
Un’eccezione che offre la possibilità di approfondire quello che è accaduto – e sta ancora accadendo – molto vicino a noi è l’istant book 70 Km dall’Italia. Tunisia 2011La rivolta dei gelsomini (Mehdi Tekaya e Global Voices online, ed. Quintadicopertina, http://www.quintadicopertina.com/?option=com_content&view=article&catid=54:70-chilometridallitalia&id=114:70-chilometri-dallitalia).
La pubblicazione offre due punti di partenza per l’analisi dell’accaduto: in primo luogo espone le premesse storiche che hanno portato alla rivolta un paese considerato all’avanguardia per istruzione, diritti delle donne, sistema sanitario e con ottimi rapporti con l’unione europea. In seconda battuta, si interroga sul ruolo giocato dall’accesso ai social network (Twitter, Facebook, Youtube e blog) nella diffusione e nell’esito della rivolta.
La prima considerazione è immediata: le persone che hanno spinto e sostenuto la rivolta sono proprio quelle cresciute sotto la dittatura di Ben Alì, spesso con un’istruzione avanzata e penalizzate dalla situazione economica del paese, dove il tasso di disoccupazione dei laureati arriva al 30% contro una media nazionale del 14%.
L’analisi storica di Mehdi Tekaya, storico contemporaneo e 'media-hacktivist' di origine tunisina, prende inizio dalla figura di H. Bourguiba. Presidente della Repubblica e leader del Paese per oltre trent’anni, unisce una ventata innovatrice (specialmente nell’emancipazione femminile e nell’affermare la laicità dello stato) ad uno smodato culto della personalità, che finisce per degenerare in dittatura. Dal 1963 la Repubblica tunisina diviene un regime a partito unico e Bourguiba viene nominato presidente a vita. La situazione sembra cambiare con l’ascesa di Ben Alì, che il 7 novembre 1987 destituisce l’ormai anziano presidente e se ne proclama successore, intraprendendo una serie di azioni per una riforma apparentemente democratica dello stato. Ma, continua Tekaya, il curriculum del nuovo leader doveva indurre dal principio qualche preoccupazione: formatosi prima alla scuola militare di Saint Cyr, in Francia e poi alla Senior Intelligence School di Fort Holabird, nel Maryland, viene chiamato più volte ad intervenire in patria, per tenere sotto controllo i movimenti islamici e, nel 1984, per guidare la soppressione della rivolta del pane.
Dopo tre anni di “primavera democratica”, avviene la svolta autoritaria.
Negli ultimi dieci anni le uniche voci che si sono opposte al regime sono state quelle diffuse sul web, che ha veicolato le istanze dei cyber-attivisti e dei critici del regime, nonostante la legislazione repressiva e le gravi conseguenze (arresti, pressioni e difficoltà amministrative, difficoltà a trovare lavoro) a cui essi si esponevano.
La seconda parte del libro parte appunto dalla ricchezza e dal peso che hanno avuto i social media nel contesto tunisino per tracciare un percorso attraverso gli articoli curati dalla redazione italiana di Global Voices Online(*) e da Voci Globali. E’ dato largo spazio alla voce diretta dei netizen, di cui si riporta il testo originale e la traduzione, ma anche i video e le fotografie che hanno fatto il giro della rete.
Il progetto editoriale di 70 Km dall’Italia. Tunisia 2011 – La rivolta dei gelsomini è a cura di Maria Cecilia Averame, con la collaborazione di Bernardo Parrella (GVO).

(*) Global Voices è “una rete internazionale di blogger che informano, traducono e sostengono i citizen media e i blog di ogni parte del mondo”( http://it.globalvoicesonline.org/).
(Eleana Marullo)

OLI 293: SOCIETA’ - La crocefissione della laicità dello stato

Il bassorilievo del processo a Giordano Bruno (Roma, Campo de' Fiori)
Nella foto, come viene erroneamente indicato nella didascalia, non vediamo il bassorilievo del processo a Giordano Bruno, bensì l’attuale situazione nei tribunali italiani. Non lasciatevi ingannare dai vestiti né dalle panche in legno, tantomeno dalle barbe fluenti o dal fatto che l’incriminato è costretto a restare in piedi di fronte alla corte. L’elemento che convince della modernità di questa immagine è la presenza importante e ribadita di un crocefisso sopra la capa del giudice.
La sentenza della Cassazione di pochi giorni fa che ribadisce l'obbligo del crocefisso nei tribunali, parla chiaro: il nostro amico sofferente deve essere lasciato perché, se da una parte non si può escludere l’utilità dello stesso per i credenti all’interno di un’aula di tribunale, dall’altra non si può nemmeno consentire a tutti gli altri di entrarvi, quindi, la soluzione miracolosa è quella di lasciare tutto come sta. Insomma, mettere un simbolo ebraico accanto al crocefisso potrebbe essere lesivo per l’incompatibilità delle due dottrine, di levare il crocefisso non se ne parla perché un sano ladro cattolico potrebbe aversene a male, ecco il riassunto della sentenza, che conferma la radiazione del giudice di Camerino, Luigi Tosti, dalla magistratura per essersi rifiutato di tenere udienze all’ombra del simbolo cristiano. Cassazione dixit.
Trovare una soluzione in ambito legislativo è impossibile, al momento, infoiati come saranno i nostri parlamentari a discutere già di sesso degli angeli (Ruby), presenza dell’anima nelle donne (regionalismo/de centralismo), discendenza divina dell’imperatore (processi vari al Presidente del Consiglio dei Ministri), non scordiamoci l’annoso problema dell’immagine dell’Italia nel mondo dopo il recente forfait della Nazionale di calcio in Sud Africa.
Resta una sola speranza per salvare la Laicità dello stato: che a causa dell’inesistente manutenzione delle strutture pubbliche, qualche crocefisso decida che è arrivato il momento di staccarsi e di infilare i poveri piedi feriti nella testa del giudice sottostante. Forse, prendendola dal lato della sicurezza, qualcosa si muoverà finalmente, tra l’altro rivalutando l’importanza, in questo caso, della mansione di giudice “a latere”, così, giusto per salvarsi da uno spiacevole incidente.
Adesso che abbiamo scherzato un po’, ritorniamo alle cose serie: qualcuno ha ancora voglia di parlare di nucleare?
(Stefano De Pietro)

OLI 293: CITTA' - Domande dell'elettore, risposte della politica

Alle lamentele del pubblico in sala – questa sinistra ha fatto errori eclatanti, e D’Alema e Bersani e vorrei che ... – Concita de Gregorio, domenica 27 febbraio, replicava: Cosa ha da proporre in alternativa?
A questa domanda corrispondeva il silenzio.
Chi era intervenuto pareva devastato dal quesito.
Forse non aveva ragionato sugli effetti.
Oppure, più semplicemente, non aveva una vision politica. Privo di malizia, condivideva con la platea le proprie aspettative, più simili ad ansie calcistiche.
Alla base – finiamo sempre lì – c’è l’assenza di corrispondenza. In sintesi la percezione che, chi è delegato a rappresentare l’elettore, non fa o non vuole fare quello per cui è stato votato.
E se lo fa non è in grado di comunicarlo.
E’ un problema nodale.
Se la politica agisce bene deve condividere le proprie azioni con i cittadini. Se, invece, pare in balìa di interessi economici o di lobby deve avere il coraggio di replicare e difendersi.
Assodato che la città di Genova e la Regione Liguria sono governate dal centro sinistra, prendiamo atto che è molto difficile per il cittadino digerire l’aumento del biglietto del bus a 1.50 euro insieme al taglio delle corse.
A Milano il costo rimane di 1 Euro a fronte di un servizio assai maggiore. Inoltre è possibile utilizzare i biglietti vecchi ancorché scaduti.
Non viene spiegata ai cittadini la scissione tra i consiglieri di maggioranza sull’Acquasola. E rasenta il ridicolo sapere che solo lunedì  7 marzo si è reso necessario un sopralluogo della Commissione urbanistica al parco per verificare soluzioni alternative alla revoca della concessione alla Sistema Parcheggi. Che la politica praticata sia frutto di paziente tessitura lo dimostrano in allegato i documenti sottoposti al voto in Consiglio comunale nelle ultime due settimane. Ma che la tessitura non sia sufficiente lo evidenzia il fatto che il caso Acquasola sia ancora all’ordine del giorno e fonte di scontro all’interno della maggioranza in comune.
I soggetti politici coinvolti non hanno spiegato con sufficiente chiarezza le vicende Ist ed Ospedale Evangelico, insieme al buco di bilancio dell’Albergo dei poveri – stimato a 50 milioni di euro – con l’inchiesta sulla vendita delle case, e il nuovo progetto edilizio della Valletta Carbonara.
Sul bilancio del Brignole ha gravato negli anni anche un’applicazione di tariffe per malato insufficiente a coprire i costi - OLI 13 maggio 2009 n. 225 - con tariffe di molto inferiori al quelle di altri istituti convenzionati.
Cosa ha da proporre in alternativa? – chiedeva Concita de Gregorio – all’elettore deluso, tagliando la questione sul nascere.
La politica della chiarezza, della coerenza e dell’ascolto – avrebbe potuto rispondere lui.
Ci vuole così tanto?
Documento 2
(Giovanna Profumo)

OLI 293: PAROLE DEGLI OCCHI – Banchetto nuziale

Foto di Giorgio Bergami ©
Dopo un matrimonio, riso e petali di fiori.
C’è chi ne approfitta, in buon ordine.