martedì 29 giugno 2010

OLI 267: SOMMARIO


OLI 267: PRESENTAZIONE - Il nuovo blog di OLI

Cari lettori,

come vi avevamo preannunciato, dopo alcuni numeri di prova, da questa settimana parte una nuova avventura di OLI: un blog.
Vuole essere una maniera per intensificare i contatti con voi, offrendo – oltre ai contenuti della newsletter che ben conoscete – una nuova grafica, con un’attenzione particolare a foto (per le quali attendiamo vostri contributi) e video, insieme a molte altre opportunità che qui vi illustriamo.
Ogni settimana troverete diversi post: i pezzi della redazione, le rubriche e le vostre lettere.
I vostri commenti appariranno sotto i post e i più recenti nella colonna laterale.
Vi sarà anche un SONDAGGIO, che cambierà periodicamente. Per ora chiediamo la vostra opinione proprio sulla nuova veste grafica di OLI.
Sotto ciascun post vi sono “etichette” o "tag", ossia parole chiave che vi aiuteranno a ritrovarlo (dalla colonna laterale, sotto ETICHETTE o in CERCA NEL BLOG), per argomento, autore, numero della newsletter. Sempre nella colonna laterale, è presente un ARCHIVIO che catalogherà ogni contributo per mese.
E’ in cantiere la costruzione dell’archivio completo degli scorsi anni (attualmente, tra le pagine cliccabili in alto, sopra il nostro logo di apertura, troverete ARCHIVIO VECCHIO SITO, con un link che vi permetterà di accedere a quanto pubblicato negli anni precedenti).
Inoltre, col titolo LETTORI FISSI, viene offerta la possibilità di iscriversi al blog a coloro tra voi che, utenti di gmail o "colleghi di Blogger", vorranno sostenerci apertamente con il loro nome (ed eventuale avatar), e che riceveranno gli aggiornamenti del blog sulla loro bacheca.
Per tutti i lettori, invece, vi sono poi due opzioni: l'iscrizione ai post e/o ai commenti del blog (riceveranno via mail la notifica degli aggiornamenti del blog, post e/o commenti).
Per entrambe le opzioni è sufficiente un click sul pulsante apposito (si trovano tutti sempre nella colonna di destra).
In fondo alla colonna, troverete la sezione CONDIVIDI: presenta i loghi dei vari social network per condividere - sempre con un semplice click - un certo post con gli amici di Twitter, Facebook, Googlebuzz ed altre comunità virtuali.
Come avrete intuito, Oli sta sperimentando nuove vie di comunicazione per essere ancora più vicino ai propri lettori.
Nel farlo, ha però bisogno di ascoltare le vostre voci, per capire meglio quali sono le vostre preferenze o necessità nel ricevere i nostri articoli.
Cominciate dunque a "navigare" tra le nuove proposte offerte dal blog (in particolare le diverse opzioni per iscriversi a blog, post e/o commenti) in modo da poterci aiutare rispondendo ad alcune domande:
1) Come ti appare la nuova veste grafica di OLI?
2) Ti muovi con facilità tra le diverse sezioni del blog? Hai rilevato qualche problema?
3) Ti sei già iscritto? Quale forma di iscrizione hai scelto?
4) Hai qualche proposta/osservazione da farci?

Inviate le vostre risposte a osservatorioligure1@gmail.com e grazie per la vostra preziosa collaborazione!

Buona navigazione a tutti!

OLI

OLI 267: VERSANTE LIGURE - Puc indolore

Il Tar sentenzia e zac:
è cancellato il Puc!
Comune sotto choc
d'urbanistìco crac,
ma con seduta ad hoc
al Puc già di Perìc
(la "u" restata è in Bic)
rinnova tosto il look
(seduta-lampo doc
stile "Già fatto? Pic").


Versi di ENZO COSTA
Vignetta di AGLAJA

OLI 267: STORIA - Un 25 giugno a Genova


Il 25 giugno 1960 cominciavano le giornate di Genova.

"storiAmestre", Associazione per la storia di Mestre e del territorio, ricorda l'anniversario con un saggio inedito di Manlio Calegari e Gianfranco Quiligotti.

Per leggere presentazione e testo integrale:




 Le foto sono di Giorgio Bergami

OLI 267: COSTITUZIONE ITALIANA - Calamandrei: la Costituzione spiegata agli studenti

Discorso di Piero Calamandrei (1889-1956), rivolto nel 1955 ad alcuni studenti milanesi, sui principi della Costituzione Italiana e della Libertà.

Membro della Consulta Nazionale e dell'Assemblea Costituente
La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica. È un po’ una malattia dei giovani l’indifferentismo. «La politica è una brutta cosa. Che me n’importa della politica?». Quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina che qualcheduno di voi conoscerà: di quei due emigranti, due contadini che traversano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime, che il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda ad un marinaio: «Ma siamo in pericolo?» E questo dice: «Se continua questo mare tra mezz’ora il bastimento affonda». Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno. Dice: «Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare il bastimento affonda». Quello dice: «Che me ne importa? Unn’è mica mio!». Questo è l’indifferentismo alla politica.

È così bello, è così comodo! è vero? è così comodo! La libertà c’è, si vive in regime di libertà. C’è altre cose da fare che interessarsi alla politica! Eh, lo so anche io, ci sono... Il mondo è così bello vero? Ci sono tante belle cose da vedere, da godere, oltre che occuparsi della politica! E la politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai. E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perchè questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica...

Quindi voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come vostra; metterci dentro il vostro senso civico, la coscienza civica; rendersi conto (questa è una delle gioie della vita), rendersi conto che nessuno di noi nel mondo non è solo, non è solo che siamo in più, che siamo parte, parte di un tutto, un tutto nei limiti dell’Italia e del mondo. Ora io ho poco altro da dirvi. In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie. Sono tutti sfociati qui in questi articoli; e, a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane...
E quando io leggo nell’art. 2: «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica, sociale»; o quando leggo nell’art. 11: «L’Italia ripudia le guerre come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», la patria italiana in mezzo alle altre patrie... ma questo è Mazzini! questa è la voce di Mazzini!
O quando io leggo nell’art. 8: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge», ma questo è Cavour!
O quando io leggo nell’art. 5: «La Repubblica una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali», ma questo è Cattaneo!
O quando nell’art. 52 io leggo a proposito delle forze armate: «l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica», esercito di popoli, ma questo è Garibaldi!
E quando leggo nell’art. 27: «Non è ammessa la pena di morte», ma questo è Beccaria! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani...

Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti! Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, cha hanno dato la vita perché libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, è un testamento, è un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché li è nata la nostra Costituzione.

(a cura di Aglaja)

OLI 267: INFORMAZIONE - Lo Sbarco e la pigrizia dei giornali

Parliamo di come i giornali locali hanno parlato dello “Sbarco”. Prima di tutto una incredibile “avarizia”: mettendo  insieme Secolo XIX, Repubblica, Corriere Mercantile e Gazzetta del Lunedì abbiamo trovato -  oltre al “Lanternino” di Enzo Costa - solo cinque articoli per i due giorni dell’evento. Avevamo a Genova tante persone giovani, molte delle quali vivono una esperienza di studio, vita e lavoro in altri paesi europei, tante altre venute da altre città italiane, una gran parte portava con sé inedite forme di impegno intellettuale, artistico, politico. Era l’occasione, assolutamente straordinaria per una città vecchia come Genova, per svolgere una inchiesta su quello che fa, spera e pensa una generazione giovane interessata ad agire nel mondo per trasformarlo.
E invece i giornali ci hanno offerto nel migliore dei casi il minimo di una informazione appena dignitosa.  
Nel caso di Repubblica (“La protesta sbarca in Piazza”, articolo del 28 giugno), vorremmo poi capire la logica di dedicare più della metà del testo all’intervento in piazza di Don Paolo Farinella, indicato come colui che è “alla testa” del movimento. Don Farinella ha dato il suo contributo aderendo, esponendosi, come ha fatto Moni Ovadia, o Don Gallo, e i moltissimi altri, intellettuali o gente comune che si trovano elencati sul sito dello “Sbarco. L’intervento in piazza di Don Farinella è stato uno dei tanti. Non il migliore dei suoi interventi. Di certo non il migliore, né il più significativo, degli interventi  che si sono ascoltati in queste due giornate. Ma Don Farinella è  finito nel ruolo del “personaggio”, e parlare dei personaggi costa meno impegno e fatica di andarsi a cercare la realtà tra le persone.
(Paola Pierantoni)

OLI 267: POLITICA - Il tempo di naufragare è terminato

Buongiorno Genova, buongiorno minoranza degli italiani,
desidero ringraziare gli organizzatori e tutti coloro che hanno lavorato per rendere possibile questa grande manifestazione. Ringrazio, inoltre, quegli italiani e tutti coloro che dall'estero hanno sentito la necessità di tornare per ricordarci il nostro dovere civile, quello di vegliare e difendere i diritti sanciti dalla nostra Costituzione.
La nave dei diritti è sbarcata ieri sera. La zattera italiana, invece, naufraga ancora in mezzo al Mediterraneo, confusa tra i flutti schiumosi. Vi stanno aggrappati alle sartìe milioni di italiani, tutt'altro che preoccupati, anzi, apparentemente felici.
Felici perché incoscienti. Ojetti scrisse che l'ignoranza è la palpebra dell'anima: le cali e puoi dormire; le cali e puoi persino sognare.
Ed è proprio una condizione di felice torpore quella in cui ci vogliono spingere, tagliando i fondi all'istruzione pubblica, inondando i media di ottimismo, imbavagliando ed aggredendo l'informazione indipendente.
In questo modo possono raccontare senza timore che l'Italia è un'isola d'oro, che la crisi l'abbiamo superata in autostrada. Evitano di dire, invece, che in questi ultimi due anni abbiamo perso quasi un milione di posti di lavoro, portando la disoccupazione al 9,1%, con prospettive di crescita fino al 9,6% per la fine del 2011.
E come in ogni buon Paese d'oro, serviva un capro espiatorio: prima i clandestini, poi i magistrati, sono diventati bersagli dei media. Così i naufraghi si sono stretti all'albero della zattera ed hanno acclamato prima il pacchetto sicurezza, poi – quasi si sentissero troppo sicuri – hanno chiesto di tagliare le intercettazioni per difendere la loro privacy.
Proprio loro, coi vestiti a brandelli. Loro che, in questa deriva, hanno chiuso entrambe le palpebre e non si sono accorti di essere rimasti nudi. Hanno creduto ingenuamente a ciò che gli è stato raccontato dalle televisioni, felici di stare su una zattera che – senza saperlo – portava la zavorra di uno dei più alti debiti pubblici al mondo. Questi sognatori, non si sono nemmeno resi conto dell'aumento dell'evasione fiscale, assestata a 124,5 miliardi di euro. Un'evasione che è cinque volte quei 24 miliardi di euro di sacrifici che il governo ha deciso di imporre alle nostre buste paga, proprio mentre regala agli evasori un nuovo condono edilizio.
Non c'è dubbio che tra Paese virtuale e Paese reale si sia creato un gap incolmabile. In 1984, di Orwell, il Ministero della Verità riduceva l'espressività della lingua per evitare che qualcuno parlasse. Nel 2010, in Italia, si limita direttamente la percezione per evitare che qualcuno pensi.
La gente che oggi protesta per le vie di Genova non esiste nei media. Gli studenti, i ricercatori, gli operai, gli statali, i cassintegrati e i disoccupati sono fantasmi, cancellati sia dalle chiacchiere dei bar che da quelle del Parlamento.
La fabbrica del consenso funziona. Funziona anche grazie ad un'opposizione senza carattere, senza corpo né voce. Un'opposizione che dovrebbe avere il diritto – ma ancor più il dovere – di rappresentarci in questo momento difficile. La fabbrica del consenso è vincente, ma non deve diventare convincente.
Mentre la ciurma felice continua a galleggiare, dondolata da onde attente che nessuno si lamenti, si va incontro a quello che Eco ha definito uno "struscìo di Stato", una graduale erosione della democrazia che, un passo alla volta, ci porterà ad una dittatura, che nessuno sarà più in grado di riconoscere perché assuefatto.
Qualche giorno prima di morire, José Saramago, autore portoghese e premio Nobel nel 1998, ha aderito allo "Sbarco" affermando: "Stiamo tutti soffrendo quel che succede in Italia col popolo italiano, che in questo modo sta negando la propria storia e la propria cultura. E io cosa c'entro alla fine? Non sono neanche italiano. Ebbene, sì che c'entro. Perché sono una persona a cui interessa tutto ciò!".
Questo è il motivo che ha spinto anche me e tutta la redazione della rivista Aeolo a venire qui. Mai come oggi ci siamo ritrovati nel motto che ci mosse in quell'aprile 2008: "Aeolo nasce per spazzar via la bonaccia che domina nella cultura contemporanea: come i venti soffiano da parti diverse ed anche opposte, noi vogliamo divergere, essere d'accordo, scontrarci, per creare nuovi luoghi d'incontro, nuovi punti di vista, nuovi modi di comunicare".
Ed eccoci qui, a soffiare. Soffiare per agitare queste acque, soffiare per scuotere la zattera e le coscienze, soffiare per strappare quei naufraghi felici dal torpore che li coccola, prima che sia la zattera stessa a trascinarli nell'abisso.
Siamo qui perché l'Italia è il Paese che tocchiamo ogni giorno con mano, è il profumo del pane che ci ha cresciuti, è la rabbia di un padre che perde il lavoro. L'Italia è questo, non quello che ci raccontano, non quello che vogliono farci credere.
Oggi non vogliamo riprenderci Genova. Oggi vogliamo riprenderci la lente del dubbio. Oggi vogliamo che la gente sollevi le palpebre e valuti coi propri occhi la ruvidezza del legno che li trascina a fondo.
Perché il tempo di naufragare è terminato.
(Enrico Santus - Direttore editoriale della rivista culturale Aeolo)



OLI 267: SOCIETA' - Uno sbarco tutto spagnolo

Dalla Nave dei diritti, la sera di sabato 26 giugno, scendono circa 600 persone, i partecipanti allo Sbarco, l'iniziativa di un gruppo di italiani residenti all'estero. Molti di loro sono migrati per trovare lavoro, altri per seguire un compagno, altri ancora perché è capitato così. Tutti insieme sono arrivati al porto di Genova, ad attenderli un altro gruppetto di italiani, quelli rimasti qui, meno di quanti fossero loro stessi: il primo specchio di quello che attende chi voglia cercare di smuovere l'Italia, una gran fatica per ottenere poco, forse se l'erano dimenticato, vivendo altrove.
Nelle piazze, di domenica, poche persone. I media hanno parlato quasi niente dell'iniziativa se non proprio all'ultimo, facendo mancare quel clima di aspettativa che è poi il successo degli eventi come questo. Suq, Festival della poesia, forse perché maggiormente supportati dalle istituzioni cittadine, sono stati spinti ovunque, e nonostante questo la presenza non è stata certo esplosiva come i primi tempi. Senza questo apporto, lo Sbarco ha sofferto, e molto. Un aneddoto per tutti: ad una settimana dalla data, la certezza della disponibilità di Commenda e Museo di Sant'Agostino era ancora dubbia.
Nella Piazza delle differenze, alla Commenda, dopo qualche ritardo organizzativo inevitabile quando le iniziative sono giovani o alla prima edizione, comincia la musica, le letture. Il pubblico la mattina era atteso molto scarso, dopo la notte di festa di sabato al Porto antico, ma lo stesso flusso di persone, se così possiamo chiamarlo, tende addirittura a scemare nel pomeriggio.
La sera a Matteotti, Rita Lavaggi, la "mamma" dello sbarco genovese, accusa senza mezzi termini. Accusa chi non ha voluto supportare l'iniziativa. Accusa, di fatto, gli italiani che non hanno capito. E ringrazia una per una le persone che hanno prodotto le due giornate.
Forse, quando non si vogliono cercare le cause all'interno delle proprie fila, si cercano fuori. Però c'è a mio avviso una chiave di lettura che apre uno spazio diverso, pensando come un Primo marzo sia riuscito a smuovere, solo a Genova, quasi 10 mila persone, delle quali ben più della metà stranieri extracomunitari, mentre l'iniziativa tutta italiana, tra italiani, non abbia raggiunto il tetto di partecipazione sperato: forse abbiamo davvero bisogno del lavoro degli immigrati, non solo nella produzione ma anche nella società civile.
(Stefano De Pietro)


OLI 267: POLITICA - Lo sbarco dei ragazzi che pensano al domani

Mirella ha gli occhi chiari che ti guardano dritto, pare una giovane signora capitata lì per caso se non fosse per quel trolley che si trascina con nonchalance in piazza. Ma allora fa parte dello sbarco! Intorno giovani ballano e lei guarda con tenerezza. Insegna alla scuola italiana da ventiquattr' anni a Barcellona e l'indomani ha scuola, ma è contenta e dice che non dobbiamo essere noi a ringraziare lei, ma il contrario. Si chiacchiera e si ascoltano ringraziamenti vari: a proposito dov'erano le istituzioni, a parte il saluto della sindaco al momento dell'arrivo? Ma queste sono domande che ci facciamo noi di Genova in silenzio, chiedendoci come mai fra i tanti manifesti che annunciano un'estate folle di eventi, non si siano trovati i fondi per un manifesto di benvenuto ai tanti giovani e non arrivati fin qui per farsi sentire. Per far vedere che ci sono anche loro, pur se l'Italia si è dimenticata dei suoi ragazzi, dei suoi figli emigrati non solo per diletto: meno male che c'è facebook.

Poi irrompe una voce dolente. Ricorda le vittime di stato, l'appuntamento del 20 luglio: Heidi Giuliani, una mamma che non si rassegna, che vuol ricordare il suo Carlo.

Ci si guarda, c'è un sesto senso tra chi insegna, tra chi sta con il futuro, senza volerlo rubare. E malinconicamente ci si sforza di vedere un futuro per tutti quei ragazzi che sono arrivati, sciamando allegramente all'Acquasola e mangiando con voracità, si sono raccontati delle associazioni, dei gruppi all'estero, che si tengono in contatto, preoccupati del Paese che non c'è, sopito e assorto nel presente. Manca il lavoro per giovani, figli, padri, ma c'è chi sta bene comunque. Lo sguardo è ridente però. Beata gioventù, pensaci almeno tu al tuo domani, noi forse non ne siamo più capaci. E i balli riprendono mentre l'insegnante italiana dice ciao e grazie, sparendo tra la folla.
(Bianca Vergati)


OLI 267: POLITICA - "Le" e "Gli" extraparlamentari dello Sbarco



Dopo un anno di lavoro, alla fine, “Lo Sbarco” è avvenuto, e un vento di idee, speranze, intelligenza e passione per ventiquattro ore ha sollevato mulinelli qua e là nella città.
Al Terminal traghetti, quando la lunga fila (circa seicento) di questi messaggeri della politica ha cominciato a percorrere la passerella, i visi erano ancora indistinti, ma mentre si avvicinavano tra sventolii di mani e lanci di grida di benvenuto, chi aspettava si è accorto che entro breve sarebbe stato investito da un’ondata di giovinezza e di speranza, che portava con sé l’invito pressante a riprendere in mano la politica.
Sul sito (http://www.losbarco.org/), negli striscioni, nei volantini, nei discorsi si dice di che si tratta: è necessario, urgente “contrastare le derive culturali, politiche, sociali” che stanno affondando il nostro paese. Ma come? Quale è la strada?
Domenica pomeriggio in Piazza Matteotti, al momento dei saluti, salta fuori un indizio.   
Andrea de Lotto, l’italo-barcelloneta a cui un anno fa, nel giorno di San Giovanni, è venuta in mente l’idea dello “Sbarco”, prende la parola e ripete quello che aveva già detto ventiquattro ore prima, nel momento dell’arrivo: “L’ottanta per cento delle persone che hanno dato vita a questa impresa sono donne”, e aggiunge che l’intensità dell’impegno per tutti, donne e uomini, è stata tale in quest’anno di lavoro che c’è voluta molta arte per non mettere a rischio gli equilibri familiari, e in alcuni casi l’arte non è stata sufficiente.
Ma come? Non c’era una distanza, una estraneità crescente, tra donne e politica? Cos’è questa politica che attira una percentuale talmente sproporzionata di donne? Cosa si propone, cosa spera di ottenere, su cosa spera di agire?
Alla Camera le donne vanno dal 10 % circa di IDV e UDC, al vertiginoso 27 % del PD, transitando per il 18% di PDL e Lega. Poi, improvvisamente, ecco che per l’avventura politica dello sbarco c’è un incredibile affollamento di donne.  
L’esperienza dello sbarco è di quelle che lasciano intravvedere la possibilità che uomini e donne trovino insieme modalità inedite per fare politica. I titoli delle piazze organizzate in città domenica 27 giugno (Diritto alla pace, al sapere e alla bellezza, alla cura dell’ambiente e al futuro, alla differenza, alla dignità del lavoro) non parlano solo al maschile. 
(Paola Pierantoni)



OLI 267: SPORT- Per chi tifano i palestinesi

Nell’articolo di Mara Vigevani che il Secolo XIX del 17 giugno pubblica in prima pagina (quando è da trentesima) si afferma che i palestinesi tifano per il Brasile “probabilmente grazie all’amicizia tra Lula e Ahmadinejad.”
Una strumentale e falsa provocazione forse dovuta alla disinformazione dell'autrice. I palestinesi non tifano Brasile per la presunta amicizia (da verificare anche questa) tra Lula e Ahmadinejad. Non c’entra nulla Ahmadinejad e non si poteva dire cosa più stupida. Ma, semplicemente perché nessuna squadra nazionale rappresenta il calcio come il Brasile. Perché Pelé, Zico, Socrates, Falcao, Ronaldo, Roberto Carlos, Ronaldinho, Kakà, Maicon, Robinho sono brasiliani e perché nessuna nazionale di calcio ha vinto quanto il Brasile (5 coppe del mondo). Chi ama il calcio, e non ha una nazionale di calcio a rappresentarlo nel mondiale, può facilmente tifare Brasile. La Palestina, si sa, non è presente ai mondiali sudafricani, non ha superato la fase eliminatoria. E’ normale, visto che ha ottenuto l’iscrizione Fifa solo nel 1998 in seguito alla nascita nel 1994 dell’Autorità Nazionale Palestinese con Arafat come presidente. Chissà quante coppe del mondo avrebbe vinto se avesse avuto la possibilità di continuare il suo cammino calcistico ... Infatti, la Palestina era l’unico paese asiatico e arabo (insieme all’Egitto) a partecipare alla fase eliminatoria per la qualificazione ai mondiali di calcio del 1934. La fondazione dello Stato di Israele nel 1948 e la dispersione dei palestinesi in vari paesi ha interrotto questo cammino.
In realtà i palestinesi non tifano solo Brasile ma, come tutti gli amanti di questo sport, distribuiscono il tifo a tutte le squadre che esprimono un buon calcio. So di una famiglia di Gaza dove il padre tifa per il Brasile, la madre per l’Argentina e le due figlie per la Spagna, tutta la famiglia però è unita nel tifo per l’Algeria, l’unica squadra araba presente in Sud Africa. Ma questa famiglia, come tutti i palestinesi di Gaza, non riesce a fare il tifo “in pace” a causa della continua interruzione della corrente elettrica per l’assedio israeliano.    
Durante i mondiali di Spagna nel 1982, vinti dall’Italia, il poeta palestinese Mahmud Darwish nel suo libro “Una memoria dell’oblio” (Juovence Editore), ha dedicato all’Italia e a Paolo Rossi una prosa poetica di rara bellezza, forse la più bella scritta sul calcio. Allora Darwish guardava le partite in un rifugio nella Beirut assediata e bombardata per circa tre mesi dall’esercito israeliano che aveva invaso il Libano, portando ai massacri di Sabra e Shatila. I palestinesi allora facevano il tifo per l’Italia, ma erano altri tempi ed era un’altra Italia quella di Andreotti, Craxi, Berlinguer e Pertini che solidarizzava con Arafat e con i palestinesi.
(Saleh Zaghloul)

OLI 267: PAROLE DEGLI OCCHI - Abbiamo bisogno di noi

a cura di Giorgio Bergami


Foto: Daniel Campagne

La fotografia è stata presa il 12 marzo 2010 durante una manifestazione degli studenti e della Cgil. 
Il titolo invece l’abbiamo mutuato dalla iniziativa dello “Sbarco”: domenica 27 giugno in Piazza Matteotti Rita Lavaggi al momento dei saluti ha raccontato che nel frenetico incrocio di mail che ha preceduto l’iniziativa, qualcuno ha fatto un lapsus che è stato subito preso a simbolo: è proprio di noi che abbiamo bisogno per difendere i nostri diritti, i “voi” - partiti,  istituzioni – sono fermi e lontani, non possiamo aspettarli.
Titolo e foto rappresentano la speranza che forze inedite e giovani acquistino sempre più forza e riescano a restituirci un futuro.

OLI 267: LETTERE - Ho conosciuto un vero invalido

Ho conosciuto un vero invalido.
Proveniva dall’America ma la madre era Italiana. Conosceva due lingue; per gli studi fatti si esprimeva in modo corretto e preciso, molto preciso. Quando posava un oggetto sul tavolo, lo deponeva con attenzione, nulla doveva essere lasciato al caso. Sistemava la seggiola ed anche la sua postura. Bisognava aspettare, non dirgli nulla e attendere che tutto fosse messo in giusta collocazione. Poi poteva iniziare a parlare e affrontare il grande tema delle sue speranze, le profezie di cui lui era depositario.
Un vero invalido ma anche un vero nullatenente.
Fummo in molti ad aiutarlo. Gli diedero la casa popolare anche se non aveva i soldi per pagare il canone. Decidemmo di inoltrargli domanda di riconoscimento di invalidità anche se lui non si riconosceva tale.
Chiedemmo non una, né due, ma ben tre volte il riconoscimento alla Commissione Sanitaria dell’A.S.L.
Durante la prima visita non venne rilevato nulla di particolare: persona ordinata, accurata, precisa.
Nella seconda visita, si considerò positivamente la sua attività di ambulante (così lui la definiva): chiedeva un'offerta in cambio di piccoli doni fatti ai bambini. Un membro della commissione giudicò originali i suoi interessi intellettuali e mistici.
Valutazione conclusiva 50% di riconoscimento di invalidità. Il diritto all'assegno economico si acquisisce con il 75% e con la nuova Finanziaria con l’80%.
Decidemmo di riprovare e in questa ultima visita fu presentato un certificato con la sola diagnosi. Raggiunse finalmente la soglia che gli consentì l’accesso alla categoria degli Invalidi Civili con assegno mensile di Euro 256,67.
Questa cifra cambiò la sua vita ma non di tanto. L’affitto e le bollette continuò a  non riuscire a pagarli ma con la sua attività di ambulante ogni tanto festeggiava con gli amici di strada che incontrava.
Quando si parla di invalidi nessuno, ma proprio nessuno osa rivelare l’importo di questa misera ed umiliante  cifra che lo stato eroga.
Capitolo a parte è l’assegno di accompagnamento dato a chi giudicato dalle commissioni sanitarie: “incapace di compiere gli atti fondamentali della vita”. Si tratta di un importo mensile di 480,00 euro.
Una buona cosa questa finanziaria l’aveva decisa  e cioè elargire questo assegno in base al reddito personale dell’inabile. Niente da fare, questa decisione è stata revocata. Anche i ricchi hanno bisogno di soldi.
(Maria Paola Veardo) 

lunedì 28 giugno 2010

OLI 266: AVVISO

mercoledì 16 giugno 2010

OLI 265: SOMMARIO

In questo numero

• Versante Ligure - Destra con destrezza (Enzo Costa&Aglaja)
Immigrazione -  I clandestini messicani e la lattuga (b.v.)
• Città Le sfortune di Via Puggia (b.v.)
• Città Giugno, dei mesi il più poetico (Angelo Guarnieri)
• Cultura Pahor, un paradiso di amicizia (g.p.)
• Parole degli occhi - Poesia a Genova, anche tra i binari (a cura di Giorgio Bergami)

• Lettere Una lenta passeggiata in Via Borzoli (Luisa Campagna - Comitato Lenzuola Bianche)
• Lettere - Prove tecniche di "legge bavaglio" (Stefano De Pietro)



OLI 265: VERSANTE LIGURE - Destra con destrezza

Negarlo è assurdo e insano

(può attivarsi l'Ovra):

in tasca a ogni italiano

la destra, d'odio scevra,

non ha messo la mano

(ha messo la manovra).


OLI 265: IMMIGRAZIONE - I clandestini messicani e la lattuga

Dalle indagini Demos (Repubblica del 14 giugno) si scopre che ora in Italia l'immigrato fa meno paura: soltanto il 37% degli italiani che ha problemi di lavoro, guarda con diffidenza l'immigrato e pensa che “quello” gli stia rubando il posto. L'Italia è un paese sempre più multietnico, come rileva Istat, con una crescita pari al 7% di stranieri nel 2009 rispetto all'anno precedente. In più l'emigrazione sembrerebbe non conoscere crisi, in Italia come nel mondo. Secondo le tabelle del rapporto della Word Bank Migration and Development, gli emigrati nel mondo, contro ogni previsione e nell'anno della crisi, hanno spedito nei paesi di origine 338 miliardi di dollari. (Il Sole 24 ore del 10 giugno).
Pur avendo il ciclo negativo del mondo industrializzato causato un rallentamento di nuovi arrivi, non ha scoraggiato quelli già in loco, certi di trovare una situazione migliore comunque rispetto al loro paese e che li convince a resistere per un futuro migliore per i figli. Inoltre la più decisiva spiegazione attiene al tipo di mansioni che generalmente svolge l'immigrato: terziario, operaio, edile, agricolo o servizi alla persona, che risentono poco di fluttuazioni negative del mercato. Una situazione che li rende indispensabili e che per paradosso viene vista da molti disoccupati “locali” come una rendita di posizione.
Vedi gli operai stranieri nel ricco nordest italiano, pure in crisi.
Tutto il mondo è paese però. L'Arizona che si lamentava dei clandestini messicani, deve adesso fare i conti con la lattuga.
La durissima legge contro gli immigrati irregolari, varata il 23 aprile dal governatore repubblicano signora Jan Brewer, rischia infatti di trasformarsi in un micidiale boomerang per la più fiorente e ricca produzione agricola dello stato. In queste terre si coltiva, impacchetta e commercializza, in tandem con la California, il 95% di tutta la lattuga americana. Un primato mondiale di 50mila tonnellate, secondo solo a quello della Cina, che per le tasche dei farmer dell'Arizona vale 1 miliardo di dollari l'anno con manodopera poco costosa e assolutamente insostituibile, i braceros messicani senza documenti.
Un vero e proprio esercito, stimato dal Department of Labour in 2,5 milioni, fatto di pendolari che attraversano ogni giorno il confine in mezz'ora di bus. Ma, soprattutto, da uno sterminato stuolo di stagionali che da ottobre a marzo, i mesi d'oro della prelibatissima lattuga iceberg, vivono a Yuma e dintorni accampati nelle roulotte appositamente predisposte dai proprietari agricoli. Molti dei quali hanno cominciato la scorsa settimana a protestare contro il provvedimento a loro parere rischioso. Un malcontento raccolto dalla potentissima Western Growers Association, il sindacato del 90% dei produttori agricoli di California e Arizona, secondo cui la messa in fuga della manodopera illegale rischia di mettere in pericolo gran parte della produzione.
Il lavoro straniero illegale dà una risposta, distorta ma reale, a una domanda del mercato. Settori come l'agricoltura, l'edilizia e, soprattutto, i servizi hanno necessità di personale introvabile sul territorio e che le politiche d'immigrazione anziché agevolare fanno di tutto per ostacolare. In quel caso l'immigrazione clandestina non solo consente enormi guadagni agli imprenditori ma offre ciò che non offre quella legale. Una forma di risposta deviata e alterata just in time alle necessità dell'economia. Che se ne infischia dei rifugiati, dei diritti di quella merce umana, e pronta a non volere la manodopera immigrata quando non serve più: Rosarno, Italia, insegna. Pronta a protestare quando gliela si sottrae.

OLI 265: SOCIETA' - La fotografia in movimento del femminismo islamico

Le donne col velo pongono un interrogativo continuo con la loro appartenenza religiosa permanentemente dichiarata in pubblico. Un’intera condizione culturale, esistenziale e sociale che rimbalza addosso alle “altre”. Così nelle nostre strade, espresso attraverso i vestiti, si svolge tra donne un confronto muto, monco, ambiguo.

Sia quindi benedetta Gabriella Caramore che a “Uomini e profeti” (Radio3, sabato 12 giugno) cita il libro “Femminismo islamico. Corano, diritti e riforme” di Renata Pepicelli (Ed. Carocci – 12,5 €).
Consiglio appassionatamente di leggerlo a chiunque voglia andare oltre la superficie delle differenze visibili, per scoprire quelle invisibili.
Il libro parla delle trasformazioni del movimento femminista di area culturale islamica negli ultimi vent’anni. Infatti mentre fino agli anni ’80 “le battaglie delle donne si iscrivevano nel solco di un deciso e diffuso laicismo e all’interno di un più ampio progetto di realizzazione, nella regione araba, delle ideologie marxiste e socialiste”, successivamente “molte donne passano dalla critica all’Islam a discorsi di genere basati sulla re-interpetazione del messaggio religioso”.
Una delle ragioni di questo cambiamento è il riaffermarsi della religione nella sfera pubblica e privata, e la conseguente “islamizzazione” del discorso politico. Per dare una risposta appropriata a questa trasformazione le donne iniziano a rivendicare il diritto di reinterpetare i testi sacri per decostruire le basi della misoginia nell’islam, si incontrano per studiare le sacre scritture senza l’intermediazione maschile, e generano una significativa produzione esegetica dei testi sacri da una prospettiva femminile. L’obiettivo è rompere col monopolio delle interpretazioni maschili, contestualizzare il Corano rispetto al periodo storico in cui è nato, e stabilire la differenza tra ciò che realmente prescrive l’islam da ciò che è invece frutto della tradizione.
Le donne mettono a fuoco il grande attivismo femminile che caratterizza il primo periodo islamico (‘700), e il netto miglioramento nelle condizioni di vita rispetto all’età preislamica: proibizione di allontanare le donne mestruate dalle loro case, diritto alla eredità sia per le donne che per i bambini, divieto dei matrimoni forzati, condanna dell’infanticidio femminile, imposizione che la dote sia di esclusiva proprietà della donna e non del padre o del fratello, limitazione a quattro del numero delle mogli e introduzione del principio di equità ed eguaglianza nel loro trattamento, in un contesto storico in cui sposare più donne era finalizzato a prendersi cura delle vedove, degli orfani e dei loro beni.
Il movimento delle femministe islamiche non si sostituisce all’attivismo di genere delle donne che agiscono al di fuori dei rifermenti religiosi, ma si affianca a questo contribuendo a diversificare il panorama delle lotte di genere all’interno del mondo islamico. Dice l’autrice: “Se si volesse provare a fare una fotografia del movimento delle femministe verrebbe fuori una immagine mossa, con persone che stanno per entrare nella inquadratura ed altre che stanno per uscirne. Soggetti nitidi, ed altri no; gruppi di persone e individui isolati. Se già un anno dopo si provasse a fare la stessa fotografia, essa risulterebbe diversa”.
Fatima Mernissi (www.mernissi.net) osserva che “l’Occidente non è capace di cogliere la complessità del mondo arabo musulmano che è sì attraversato da ondate di maschilismo, ma anche da importanti trasformazioni che stanno riformulando il rapporto tra i generi”.
Il libro di Renata Pepicelli è prezioso per avvicinarsi a questa complessità. 

OLI 265: ECUADOR - Come venire a capo del debito pubblico

Quando un giorno nei libri di storia sarà necessario spiegare cosa sia successo nel XXI secolo riguardo l’economia e la politica, sicuramente l’Ecuador avrà un capitolo a sé, ricco di trovate intelligenti e di grande effetto positivo per i suoi cittadini. Partiamo dalla modifica alla Costituzione per regolarizzare i rifugiati della guerra colombiana, proseguendo per la nazionalizzazione della produzione delle medicine, per finire oggi con la cancellazione di un terzo del debito estero. Almeno, questo è quello che viene dichiarato in questo video pubblicato su Youtube,



dove viene proposta l’udienza parlamentare sul debito, con un commento di Alejandro Olmos Gaona, autore del libro “La deuda odiosa” (il debito odioso). Resta solo da vedere il filmato per cominiciare a capire il sistema del debito pubblico, non solo ecuadoriano, e la soluzione proposta d al governo di quel paese.

OLI 265: CITTA' - Le sfortune di Via Puggia

Progetto sfortunato quello di via Puggia: sfortunato per i residenti s'intende. La delibera è stata licenziata un mese prima della Variante di salvaguardia, che ne avrebbe bloccato il via. Unico aspetto positivo, come oneri di urbanizzazione, la riqualificazione di villa Gambaro. Ora il Tar ha trasmesso alla Procura della Repubblica il provvedimento poichè a suo avviso è stato utilizzato illecitamente il famigerato "trasferimento dei volumi", troppo favorevole ai privati. Si è demolito a Bolzaneto e dato il permesso di edificare su ex serre in Albaro: si pensi solo alla differenza di valore del terreno.

Il progetto ridimensionato avrebbe almeno un pregio, rimettere a posto una delle più belle ville della città, molto degradata, creando un accesso per un altro quartiere, S. Martino, che poco verde ha.
Erano iniziati i lavori, che la sentenza non ha sospeso, ma il Comune sì perchè la Procura sta indagando. Nel frattempo gli attenti abitanti sostengono che il cantiere si sia "un po' allargato" in villa, circa una decina di metri per quaranta e lo evidenziano con una foto, in cui si vede una grossa radura già decimata di alberi.
Peccato che la delibera recitasse che il progetto dà l'opportunità di realizzare un percorso - il più diretto possibile... mediante un nuovo viale alberato rettilineo. 

OLI 265: CITTA' - Giugno, dei mesi il più poetico

Genova, Palazzo Ducale 13 giugno - Festival della Poesia "Il congedo cerimonioso - vita di Giorgio Caproni" foto di Ivo Ruello.


Un grande fermento poetico pervade Genova e la provincia in queste settimane.
E’ in corso dal 10 giugno e terminerà il 21 il sedicesimo Festival Internazionale della poesia, con la presenza di “parole spalancate” e sottili da tutto il mondo.
Da venerdì 11 si sono accese le “voci del Suq” all’interno del dodicesimo Festival delle culture con la loro promessa poetica che attraversa il ribollire di iniziative di teatro, danza, musica, incontri, mercato, cucina. Spanderanno la loro luce fino al 24 giugno e si spegneranno, mostrando la loro natura abbagliante ma provvisoria, perché a Genova il Suq c’è, disseminato e visibile a chi lo vuol vedere, ogni giorno, già da tempo.
Contemporaneamente l’assessorato alla cultura della Provincia di Genova ha proposto per il mese di giugno la terza edizione a Palazzo Doria Spinola di “Musica e poesie”, che già nel titolo, Sei corde sotto le stelle, posto a guida dei quattro concerti prestigiosi e di alto livello, presenta una carica poetica veramente attraente e invitante.
Non c’è che dire: un grande fermento, una grande animazione. Per le strade del centro nobile di Genova, per i grandi palazzi dell’anima storica e commerciale della città, per i celebrati Rolli aperti al pubblico anche di notte, per il Ducale che ogni sera intreccia le ombre dei suoi muri e dei suoi colonnati con i poeti del mondo e per il ritrovato Porto Antico, impreziosito dal genio di Renzo Piano che ogni giorno affida al mare e ai suoi venti l’incontrastabile bisogno di incontro fra i popoli.
E la sera dell’11 giugno, notte della poesia, con il formicolare per il centro storico e nobile della città di poeti, giovani, famiglie, artisti di ogni genere è stato un bell’esempio di circolazione di cultura, di voglia di stare insieme, di buona organizzazione, di atmosfera gioiosa. Senza la buia opacità della notte metropolitana, la paura attanagliante, la sottile angoscia che l’incontro con l’altro potesse in ogni istante attentare alle tue fragilità, nascoste o manifeste.
Potenza della poesia, della parola libera e giusta, del confronto con le emozioni più autentiche e con la visionarietà umana del passato e del presente.
E nel frattempo ad Arenzano, in provincia, giunge al traguardo, il 19 giugno all’arrivo della notte, il premio nazionale intitolato a Lucia Morpurgo Rodocanache. Due giorni prima del solstizio d’estate, un’anticipazione della massima estensione della luce, di cui la poesia è sorella e materia.
Un premio di poesia in cerca di lettori. Questa la formula che si è voluto dare, perché poco si legge la poesia e poco ci si nutre di essa. Il premio di Arenzano giunge a conclusione dopo un anno di lavoro creativo e gratuito.
Dopo aver colloquiato con Giorgio Caproni che ad Arenzano ha insegnato ed Alda Merini che ad Arenzano ha soggiornato, il momento di maggior significato poetico è stato il lavoro con i ragazzi delle scuole primarie. In undici classi delle scuole elementari e in cinque delle scuole medie sono stati fatti, per alcuni mesi dell’anno, laboratori di scrittura e di avvicinamento alla poesia. Duecentosettantaquattro poesie sono state prodotte e quindici premiate con il contributo attivo dell’Unicef. Tra i premiati un vincitore ucraino e uno ecuadoriano.
Come si vede un mese di giugno di energia creativa. Una grande semina. Servirà per creare comunità e perché la poesia sia fermento di essa, o per continuare a coltivare orticelli “conclusi” e fine a se stessi? 
(Angelo Guarnieri)


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OLI 265: CULTURA - Pahor, un paradiso di amicizia

Mercoledì 9 giugno, Palazzo Ducale, sala del Minor Consiglio, Boris Pahor è acquattato muto tra i due presentatori. A lungo annuisce senza intervenire. C’è una pazienza atavica nel suo ascoltare ed anche lui sembra sapere, insieme ai lettori in sala, che questo è il dazio che paga ad esser presentato. Dazio di gratitudine, perché contestualizzazione storica, sintesi della vita dell’autore, desiderio di tenere insieme bilinguismo, persecuzione della minoranza slovena e guerra richiedono passione, tempo e ascolto.

Quando prende la parola si scopre che Boris Pahor, prima che scrittore, è sloveno. Un bambino sloveno nella Trieste del 1920. La sua minoranza è costretta al silenzio. Non può parlare nella propria lingua. Cancellata l’identità, italianizzati i nomi, costretti i ragazzi in classi esclusivamente italiane. Il razzismo fascista, dice l’autore, si esprime per bocca del fratello di Mussolini: “non c’hanno né lingua, né nazionalità sono come le cimici”. Seicentomila persone, incluisi sloveni e croati dell’Istria devono sparire. Non come gli ebrei, spiega Pahor, ma diventando italiani.
“Nelle nuove classi ti ridono e ti deridono”. E’ la storia di una schiavitù linguistica e intellettuale. “Non ero solo Boris Pahor, ma la mia generazione. Come farò a diventare italiano per forza? Mi chiedevo. Vengo mandato in seminario. Non sapevo cosa fare di me stesso.”
In seminario Pahor scopre la volontà di essere fedele alla propria lingua, rimanendo “italiano nella parte esterna”. Poi la guerra. Il diploma classico preso da soldato a Bengasi. Il ritorno in patria e l’8 settembre, il rifiuto di presentarsi e la denuncia. Poi il campo di concentramento Natzweiler-Struthof tra i monti Vosgi, di cui scrive in Necropoli.
“Sono tornato al campo per il bisogno di poter condividere quello che noi si sperava. Che il mondo, dopo, sarebbe stato un paradiso di amicizia. Ma poi abbiamo avuto le bombe atomiche, il Vitenam, Pol Pot, Sarajevo. Questo campo per me era una cosa terribile. Ero lì per la libertà e la democrazia”.
A sentirlo parlare si tocca con mano la determinazione a testimoniare e un’energia, a volte ironica, insieme allo stupore che le cose nel mondo non siano andate esattamente come loro speravano. Storia passata ed eventi recenti si intrecciano. A Pahor non scappa nulla. Foibe, comunismo, Tito, Israele, sono osservati da una distanza, novantasette anni, che permette uno sguardo lungo. Anche spietato.
Per i tedeschi, spiega Pahor, quello che hanno fatto è entrato nella loro coscienza nazionale. In Italia no. Per questo in Germania Necropoli è stato premiato, “lo è stato perché non ha maledetto i tedeschi, ma ha condannato quella parte disgraziata che è stata con Hitler”. Anche la scuola ha le sue colpe: “E’ sempre l’istruzione primaria quella che crea l’uomo, o lo distrugge. O lo crea per il bene. O lo crea per il male”.
“Presto o tardi” scrive in Necropoli, “lo dovremo trovare un nuovo Collodi che racconti ai bambini la storia del nostro passato. Ma chi sarà in grado di avvicinarsi al cuore infantile senza ferirlo con lo spettacolo del male, e mettendolo al tempo stesso al riparo dai pericoli e dalle tentazioni del futuro?” 





OLI 265: PAROLE DEGLI OCCHI - Poesia a Genova, anche tra i binari


© foto: Giorgio Bergami

OLI 265: LETTERE - Una lenta passeggiata in Via Borzoli

L'8 giugno di prima mattina un centinaio di persone hanno manifestato con una "lenta passeggiata" sulle striscie pedonali fra Via Borzoli e Via Chiaravagna a Sestri Ponente per protestare contro l'onda massiccia di traffico pesante che assale la sicurezza ambientale delle loro giornate e la salute dei loro polmoni.

Purtroppo in questo ultimo anno la situazione è peggiorata e chi si trova a subire questi disagi vede con scetticismo alcune iniziative che si sviluppano in città.
Ci riferiamo per esempio alle Iniziative di Genova per la "Giornata Mondiale per l'ambiente" del 3-5 giugno, iniziativa di per sè lodevolissima ma il dubbio e che l'Amministrazione non veda la città nel suo insieme ma come un tappeto sotto i cui angoli poter nascondere la polvere o qualcosa di più consistente e sgradevole.
L'angolo in questo caso è il Ponente che si trova a soffrire per le servitù della città.
Genova è una città che cambia, e come fanno notare alcuni manifesti appesi nelle sue strade, "è proiettata nel futuro" ma questo non è convincente per chi ogni giorno vede peggiorare la vivibilità del quartiere.
Una città che cambia e guarda avanti deve dare ai cittadini la sensazione che si sta meglio o almeno la sensazione che ci si sta avviando su questa strada.
Un'altra impressione sgradevole è che le proposte e la protesta che abbiamo messo in atto non trovano ascolto e risposte da parte dell'Amministrazione. 
(Luisa Campagna - Comitato Lenzuola Bianche)


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OLI 265: LETTERE - Prove tecniche di "legge bavaglio"

“Oggi il Presidente del Consiglio ha intrattenuto i suoi ospiti su una novità del mercato alimentare italiano: dopo un’intera estate di assenza dai banchi dei supermercati come negli espositori dei bar, finalmente oggi la Ramero ha rimesso in circolazione i tanto conosciuti cioccolatini con la ciliegia e l’immancabile liquore, che fanno tremare le diete delle signorine e allungare il dito indice dei bambini quando lo chiedono alla mamma. Le confezioni, rivela una fonte sicura di Palazzo Chigi, sono le stesse dell’anno scorso. I famosi cioccolatini erano stati ritirati nel periodo estivo in quanto destinati ad un mercato più freddo, sostituiti da nuovi prodotti più facilmente vendibili con il caldo e desiderosi di ‘farsi spazio’ nelle preferenze degli italiani. L’opposizione si è subito scaldata asserendo come ‘non sia vero che le confezioni siano le stesse dell’anno scorso e anche il peso sembra essere diminuito di qualche decimo di grammo’, il che co rrisponde a realtà ma solo ‘in conseguenza di un minore apporto alcoolico concordato con il Ministero della Salute’, asserisce la casa produttrice: è stato fatto per chi si mette alla guida.

“Emergenza afa: in Parlamento si cambiano i condizionatori, i vecchietti vanno al supermercato.”
“Indagine di Report: ma quanto son tettòne le tèttoni?”
Lo so che può sembrare un pò pazzo inviare una lettera come questa a OLI, però sarà meglio che ci abituiamo a questo tenore di notizie perché con la nuova normativa sull’editoria questo è quello ci aspetta, più o meno. Il buon Pasquale Cafiero che trovava “20 notizie 21 ingiustizie” nella celebre canzone di De André, può finalmente smettere di fare il caffè a don Raffaè, le notizie non ci saranno più. 
(Stefano De Pietro)


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martedì 8 giugno 2010

OLI 264: SOMMARIO

In questo numero

• Versante Ligure - Smarriti sacri (Enzo Costa&Aglaja)
• Politica Un mondo senza date (s.d.p.)
• Società - Razzismo insinuante (s.z.)
• Repubblica italiana - Quando l'onore va a chi lo merita (p.p)
• Cemento - Finanziaria, la casa che non c'è (b.v.)
• Società - Igiene mentale post-partum (g.p.)
• Parole degli occhi - Buon compleanno, Repubblica (a cura di Giorgio Bergami)

• Lettere - Società - La banalità del normale (Angelo Guarnieri)