martedì 29 giugno 2010

OLI 267: POLITICA - Il tempo di naufragare è terminato

Buongiorno Genova, buongiorno minoranza degli italiani,
desidero ringraziare gli organizzatori e tutti coloro che hanno lavorato per rendere possibile questa grande manifestazione. Ringrazio, inoltre, quegli italiani e tutti coloro che dall'estero hanno sentito la necessità di tornare per ricordarci il nostro dovere civile, quello di vegliare e difendere i diritti sanciti dalla nostra Costituzione.
La nave dei diritti è sbarcata ieri sera. La zattera italiana, invece, naufraga ancora in mezzo al Mediterraneo, confusa tra i flutti schiumosi. Vi stanno aggrappati alle sartìe milioni di italiani, tutt'altro che preoccupati, anzi, apparentemente felici.
Felici perché incoscienti. Ojetti scrisse che l'ignoranza è la palpebra dell'anima: le cali e puoi dormire; le cali e puoi persino sognare.
Ed è proprio una condizione di felice torpore quella in cui ci vogliono spingere, tagliando i fondi all'istruzione pubblica, inondando i media di ottimismo, imbavagliando ed aggredendo l'informazione indipendente.
In questo modo possono raccontare senza timore che l'Italia è un'isola d'oro, che la crisi l'abbiamo superata in autostrada. Evitano di dire, invece, che in questi ultimi due anni abbiamo perso quasi un milione di posti di lavoro, portando la disoccupazione al 9,1%, con prospettive di crescita fino al 9,6% per la fine del 2011.
E come in ogni buon Paese d'oro, serviva un capro espiatorio: prima i clandestini, poi i magistrati, sono diventati bersagli dei media. Così i naufraghi si sono stretti all'albero della zattera ed hanno acclamato prima il pacchetto sicurezza, poi – quasi si sentissero troppo sicuri – hanno chiesto di tagliare le intercettazioni per difendere la loro privacy.
Proprio loro, coi vestiti a brandelli. Loro che, in questa deriva, hanno chiuso entrambe le palpebre e non si sono accorti di essere rimasti nudi. Hanno creduto ingenuamente a ciò che gli è stato raccontato dalle televisioni, felici di stare su una zattera che – senza saperlo – portava la zavorra di uno dei più alti debiti pubblici al mondo. Questi sognatori, non si sono nemmeno resi conto dell'aumento dell'evasione fiscale, assestata a 124,5 miliardi di euro. Un'evasione che è cinque volte quei 24 miliardi di euro di sacrifici che il governo ha deciso di imporre alle nostre buste paga, proprio mentre regala agli evasori un nuovo condono edilizio.
Non c'è dubbio che tra Paese virtuale e Paese reale si sia creato un gap incolmabile. In 1984, di Orwell, il Ministero della Verità riduceva l'espressività della lingua per evitare che qualcuno parlasse. Nel 2010, in Italia, si limita direttamente la percezione per evitare che qualcuno pensi.
La gente che oggi protesta per le vie di Genova non esiste nei media. Gli studenti, i ricercatori, gli operai, gli statali, i cassintegrati e i disoccupati sono fantasmi, cancellati sia dalle chiacchiere dei bar che da quelle del Parlamento.
La fabbrica del consenso funziona. Funziona anche grazie ad un'opposizione senza carattere, senza corpo né voce. Un'opposizione che dovrebbe avere il diritto – ma ancor più il dovere – di rappresentarci in questo momento difficile. La fabbrica del consenso è vincente, ma non deve diventare convincente.
Mentre la ciurma felice continua a galleggiare, dondolata da onde attente che nessuno si lamenti, si va incontro a quello che Eco ha definito uno "struscìo di Stato", una graduale erosione della democrazia che, un passo alla volta, ci porterà ad una dittatura, che nessuno sarà più in grado di riconoscere perché assuefatto.
Qualche giorno prima di morire, José Saramago, autore portoghese e premio Nobel nel 1998, ha aderito allo "Sbarco" affermando: "Stiamo tutti soffrendo quel che succede in Italia col popolo italiano, che in questo modo sta negando la propria storia e la propria cultura. E io cosa c'entro alla fine? Non sono neanche italiano. Ebbene, sì che c'entro. Perché sono una persona a cui interessa tutto ciò!".
Questo è il motivo che ha spinto anche me e tutta la redazione della rivista Aeolo a venire qui. Mai come oggi ci siamo ritrovati nel motto che ci mosse in quell'aprile 2008: "Aeolo nasce per spazzar via la bonaccia che domina nella cultura contemporanea: come i venti soffiano da parti diverse ed anche opposte, noi vogliamo divergere, essere d'accordo, scontrarci, per creare nuovi luoghi d'incontro, nuovi punti di vista, nuovi modi di comunicare".
Ed eccoci qui, a soffiare. Soffiare per agitare queste acque, soffiare per scuotere la zattera e le coscienze, soffiare per strappare quei naufraghi felici dal torpore che li coccola, prima che sia la zattera stessa a trascinarli nell'abisso.
Siamo qui perché l'Italia è il Paese che tocchiamo ogni giorno con mano, è il profumo del pane che ci ha cresciuti, è la rabbia di un padre che perde il lavoro. L'Italia è questo, non quello che ci raccontano, non quello che vogliono farci credere.
Oggi non vogliamo riprenderci Genova. Oggi vogliamo riprenderci la lente del dubbio. Oggi vogliamo che la gente sollevi le palpebre e valuti coi propri occhi la ruvidezza del legno che li trascina a fondo.
Perché il tempo di naufragare è terminato.
(Enrico Santus - Direttore editoriale della rivista culturale Aeolo)



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