martedì 6 novembre 2012

Oli 355: ETICA - Dalle mine antiuomo al Latte Oro

Negli anni ’70, ricordo, si ragionava sull’efferatezza degli imprenditori della Val Trompia che producevano mine antiuomo, commissionate da regimi forse totalitari, dittatori, che le spargevano laddove inermi famigliole, bambini che giocavano sui prati, donne che lavavano i panni in riva a torrenti ne erano poi vittime. E quindi gambe maciullate, braccia mozze, lunghe fila di croci o di qualsiasi indicatore di cadaveri seppelliti. Danni collaterali o forse no. Ci dissero le parti, tutte le parti, che in giro, da qualche parte del mondo le mine le avrebbero comunque costruite, che ci saremmo trovati in una strana posizione, che con la nostra posizione esclusivamente etica avremmo portato alla crisi lavoratori di un settore in difficoltà, così come quei loro colleghi che producevano pistole per le forze armate americane: guai a fermarli. O i produttori di fucili che grazie alla notevole dimensione di un hobby nazionale, per altro fortemente incentivato a tutti i livelli dalle lobby di riferimento, produceva un benessere trasversale, oggetto di evidente voto di scambio di diverso colore.

A certi livelli però una scelta era possibile. Ricordo infatti che qualche campionato mondiale di calcio fa, si diffuse una parola d’ordine in tutto il mondo civilmente etico: non si sarebbero dovuti comperare od utilizzare i palloni da calcio rappresentativi della manifestazione, in quanto cuciti, firmati e prodotti da lavoratori bambini del Bangladesh. Il movimento di opinione che ne adottò lo slogan, senza incertezze attraversò in un lampo il mondo: nessuno avrebbe mai comperato palloni eticamente così mal prodotti. Accidenti, saremmo scesi in piazza per garantire a quegli sconosciuti bambini del delta del Gange, oltretutto probabili futuri oggetti sessuali di pallidi e pingui pedofili europei, che non avremmo comperato i loro palloni, strumento di sfruttamento e di prevaricazione. Un bambino a quella età non deve che vivere felice, giocare con i suoi consimili, restare la sera in famiglia, andare a scuola, vedere BarbaPapà la sera alla televisione e, dopo Carosello, andare a nanna.
Ma l’etica è un pasticcio soggettivo, con principi che di volta in volta sono frutto di mediazione fra le parti: dipendono da rapporti di forza, da potere contrattuale esercitato od impedito.
Oggi un vescovo della chiesa americana non potrebbe più battezzare in modo beneaugurale le bombe piene di Agent Orange da scaricare in Vietnam, ed oltretutto come diossina noi siamo già a posto con quanto diffuso generosamente dalla industria italiana, il caso Taranto insegna. Certo, è difficile applicare principi di etica commerciale al prodotto acciaio: come esercitare la scelta di non comperare un prodotto costruito con acciaio non eticamente prodotto? La filiera di riferimento è certamente inquinata dai prodotti extranazionali, extraeuropei.
Certo forse è più eticamente problematico prendere posizione su eventi internazionali che ci vedono coinvolti come Stato: i due militari che sparano ed uccidono pescatori nell’Oceano Indiano, credendoli pirati, avevano licenza di uccidere o meno? Ricordo empo addietro Messina Jr. che in un convegno rivendicava, per conto di Confitarma, il diritto ad essere protetto, durante il percorso più economico possibile delle merci da lui trasportate; anzi lui parlava di militarizzare i suoi equipaggi, dotandoli, forse, in qualche misura, di armi e sistemi di deterrenza. E giù quasi tutti ad applaudire, meno solo noi di Cgil, forse profeti di sventura, persi ad immaginare il bambino pakistano o il pescatore indiano travolti come danni collaterali, scenari improbabili ma possibili, tragicamente manifestatisi.

A questo punto ci potremmo chiedere perché dovremmo continuare a comperare eticamente un pack di Latte Oro; ci hanno preso in giro, noi consumatori e certamente i lavoratori, Anzi, ex-lavoratori. Dopo la grande truffa ci hanno convinti a progettare percorsi di sviluppo, ad immaginare crescita od almeno mantenimento di occupazione, quando l’obiettivo era semplicemente di chiudere per meglio creare mercato. Ma perbacco, avevano promesso mercato, marchio, mantenimento e supporto della filiera e dell’occupazione, ed invece tutto si è risolto nella chiusura dell’azienda, con l’impedimento ad essere sostituiti da concorrenti, e con l’unico certo risultato di una drastica, immediata e fisica estrusione dal posto di lavoro.
Anzi la campagna promozionale del marchio, da quel momento è rappresentata da un brutto slogan, su grandi manifesti in giro per Genova sui quali si legge che “Oggi il Latte Oro costa meno.”
Ecco, a differenza delle mine antiuomo, posso non comperare il Latte Oro, posso esercitare una scelta etica. Quell’azienda, nata sulle ceneri di una grandissima truffa di stato, non merita il mio euro o poco più, perché non ha rispettato le promesse, ha garantito un processo con una serie di esche truffaldine, non dissimili da un verme finto che metti sull’amo, preda di un pesce affamato e necessariamente portato a credere a quanto spera di vedere. Ma noi abbiamo ancora, nonostante questi momenti bui quasi eticamente medioevali, leggi, norme, alcune belle e moderne. Pensiamo alla Legge 300 del 1970, quella che molti chiamano “Statuto dei Lavoratori”. Quello è stato ed è un grande e bilanciato accordo fra le parti, “l’accordo sull’organizzazione del lavoro, la condivisione dei ruoli e delle parti”, da cui tutto nasce e viene rivendicato. Da cui si sviluppano le leggi moderne, i Contratti nazionali, le contrattazioni locali. E’ grazie allo sviluppo di questa pletora di articoli e commi che localmente si garantisce il fluidificare di accordi locali, di categoria, di azienda. A fronte di profitto e, spesso, di sudore e sangue. Non è una drammatizzazione, mille morti più o meno ogni anno, cosi come avviene, dati alla mano, nella sommatoria del farsi male nelle aziende italiane, naturalmente oltre gli ammalati, gli intossicati, i cancerosi, i morti in nero, quelli sconosciuti ai più ed alle statistiche ufficiali e politicamente corrette. Bene, una grande azienda italiana che produce auto, non splendide auto ma questa è altra storia, che non rispetta gli accordi fra le parti, che vanifica la Legge 300, che disconosce le organizzazioni sindacali a lei non suddite, è diversa da quella che fa costruire palloni da calcio in Bangladesh dai bambini? Perché, crisi permettendo, devo comperare una auto con quel marchio? In qual misura posso rivendicare il mio diritto al manifestare il mio, soggettivo ed unico, punto di vista etico e smettere di comperare il latte da chi mi ha preso in giro? Eticamente il “diritto” ha un valore alfanumerico? Posso determinare quale livello di prevaricazione sono in grado di accettare come consumatore prima di interrompere una sequenza di azioni, una scelta di acquisto indirizzata verso un marchio invece che un altro? Non compero mine antiuomo, palloni prodotti da bambini, non cambio auto perché spero che la mia vada avanti ancora trent’anni, ma almeno il latte, dai, lo compero da qualche altro, meglio filiera corta, ma certamente non quello di una azienda che mi ha preso in giro, raccontandomi tante balle ed ottenendo finanziamenti pubblici, sconti di pena, concordati fiscali alla faccia mia, su questo tema sono finalmente in grado quindi di manifestare appieno il vero valore del mio concetto di etica, perché ormai i lavoratori sono stati licenziati, nessuno ci perde niente, meglio o peggio di così?  
(Aris Capra - immagini da internet)

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