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giovedì 31 gennaio 2013

OLI 363: ILVA - Il linguaggio della procura e quello della busta paga

Patrizia Todisco è tutta in una notizia Ansa del 30 gennaio 2013 ore 13.40
TARANTO - Il gip del Tribunale di Taranto Patrizia Todisco ha rigettato la richiesta dell'Ilva di revocare il sequestro preventivo dei prodotti finiti e semilavorati giacenti sulle banchine del porto, finalizzando il ricavato della vendita al pagamento degli stipendi e alle opere di ambientalizzazione previste da L'Aia. Il Gip ha precisato “Nessuna norma dell'ordinamento giuridico contempla la possibilità di una restituzione di beni sottoposti a sequestro preventivo, per giunta in favore di soggetti indagati proprio per i reati di cui i beni sottoposti a vincolo costituiscano prodotto, sulla base di esigenze particolari o dichiarazioni di intenti circa la destinazione delle somme ricavabili dalla vendita dei beni, che vengano ad essere dedotte dall'interessato”.
Traduzione: non avevate la facoltà di produrre, lo avete fatto ugualmente, i vostri coils sono corpo di reato, non si possono restituire tanto più a “soggetti indagati” come il Presidente Bruno Ferrante.
Si attende il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla legge 231 che, in assenza di un piano B, è ad oggi l'unica garanzia in mano ai dipendenti del gruppo per contare sul salario futuro, sempre che la conferma del sequestro dei rotoli (valore commerciale un miliardo di Euro) non spinga l’azienda ad esacerbare lo scontro minacciando nuovamente la sospensione del pagamento degli stipendi del mese di Gennaio, alimentando manifestazioni nelle piazze tarantine e genovesi.
In questo scenario, il linguaggio della Procura diventa incomprensibile per chi può parlare solo quello della busta paga che è affitto, mutuo, cibo, bollette e spesso figli a casa che studiano o sono disoccupati. In questi termini non c’è spazio per la comprensione delle faccende giudiziarie. La famiglia agli arresti è vittima, agli occhi di molti, di una magistratura ostinata, intenta a voler spezzare le gambe alla proprietà e ad annientare la filiera siderurgica italiana. Le trasmissioni televisive diventano di parte, i dati epidemiologici sono taroccati, la giustizia italiana ingiusta, incapace di comprendere che la legge 231 non è ad aziendam ma tutela i ventimila e oltre posti di lavoro. Questo - in estrema, edulcorata sintesi - il pensiero dominante dei ventimila che dal siderurgico e dalla proprietà dipendono. Nessuno di loro ha tempo per immaginare scenari diversi, per cogliere i limiti di una legge che politica, governo, sindacati, dichiarano essere la migliore delle leggi possibili. E nemmeno di giudicare articoli di stampa nei quali è scritto che “gran parte del tesoro dei Riva è all’estero” e “che la cassaforte del gruppo è in Lusserburgo dove esiste una fitta rete di società controllate”.
Nonostante il contesto, anche quest’anno Guido Rossa è stato giustamente ricordato all’Ilva di Genova. L’anniversario del suo assassinio scandisce il tempo che passa sullo stabilimento e su tutto il Gruppo Ilva, e su quanto si doveva e poteva fare e non si è fatto, principalmente per indolenza. Da trentaquattro anni.
(Giovanna Profumo - foto dell'autrice)

martedì 13 novembre 2012

OLI 356: ILVA - Genova chiama Taranto, la parola a un delegato

L’ho giudicato il peggior datore di lavoro che io abbia mai conosciuto in tutta la mia vita di imprenditore e di politico successivamente. Una persona che guarda esclusivamente ai suoi interessi - lo dico, non ho niente da nascondere - in un modo che io non ho mai visto uguale “fregandosene” dell’ambiente, della città, dei rapporti, della parola, degli impegni: non li ha mai rispettati, mai, mai, con nessun colore politico. E ha aggiunto: ho l’impressione che lui abbia il coltello della parte del manico e ancora è una controparte molto pericolosa. Queste sono alcune delle dichiarazioni di Sandro Biasotti - presidente della Regione Liguria dal 2000 al 2005 - su Riva in occasione dell'incontro sul caso acciaio del 26 ottobre a palazzo Tursi.
In azienda, durante le assemblee sindacali, spesso è stato definito bandito.
Un suo dirigente ha più pacatamente osservato: io lavoro per soldi, Riva fa la stessa cosa.
In molti gli riconoscono un potere divino, fuori dal controllo di istituzioni e sindacato. Tant’è che spesso, nell’immaginario collettivo, la parola Riva sfuma dal primo piano del fondatore Emilio, alle ciminiere di Taranto, quasi fosse un moloc. E’ un fatto che le dichiarazioni di Biasotti restituiscono un’immagine dei politici con le armi spuntate e sono di una pesantezza inaudita.
Per questo è importante quanto ha dichiarato Federico Pezzoli, delegato Fiom all'ILVA di Genova Cornigliano, che ha sentito l’esigenza di inquadrare di chi stiamo parlando: della famiglia Riva con la quale se è così difficile per le istituzioni rapportarsi - visto l’andazzo - altrettanto difficile lo è per il sindacato, alla luce del momento contingente di crisi acuta, ma è il nostro datore di lavoro, non ce lo siamo scelto e con lui dobbiamo, proviamo a confrontarci.
Federico Pezzoli è uno dei 1750 dipendenti rimasti. Nel 2005 eravamo 3000, oggi siamo 1750, 1150 dei quali impiegati nei contratti di solidarietà: quindi la paura è tanta e la preoccupazione è forte, non siamo certamente insensibili a tutto quello che sta emergendo, i dati sono sconvolgenti, per questo è importante manifestare il sentimento che vige all’interno dello stabilimento. In gioco, dice Pezzoli, è l’intera filiera che alimenta l’industria manifatturiera italiana, fermare il ciclo integrale di Taranto genererebbe 7 miliardi di extra costi per l’approvvigionamento dell’acciaio. Pezzoli ha spiegato che le ripercussioni sul fronte occupazione sarebbero devastanti. I dipendenti del gruppo in Italia sono almeno 20.000, ma conteggiando l’indotto il numero si può raddoppiare. Per questo la nuova AIA rappresenta per il delegato della FIOM un buon punto di equilibrio che consente la riduzione dell’inquinamento, senza assestare un colpo mortale alla produzione. Pezzoli si è detto veramente sgomento dai dati sulla mortalità 2003 – 2009 emersi dallo studio Sentieri, ed ha ricordato che la Fiom-Cgil si è costituita parte civile nel processo a carico della famiglia Riva. Quindi sì alla richiesta degli investimenti necessari per il risanamento ambientale (rispetto ai quali la FIOM dell’ILVA di Taranto ha presentato e fatto votare una piattaforma piattaforma ndr). Utile però riflettere sulle ragioni che hanno provocato un disastro che non si limita, secondo il delegato, alla gestione Riva, presente dal 1995, ma anche al periodo in cui la gestione era pubblica. E' stata ricordata l’omessa vigilanza da parte dei governi nazionali e delle istituzioni pugliesi, senza fare sconti nemmeno al sindacato tarantino. Il delegato ha salvato l’Accordo di Programma applicato a Genova Cornigliano rispetto al metodo, ma sul merito questo è stato il suo bilancio: l’Accordo ha permesso la trasformazione dell’area a caldo di Cornigliano potenziando quella a freddo, nessuno è stato licenziato, però la forza lavoro è scesa da 2700 persone a 1700 attraverso 7 anni di CIGS, CIGO e CdS. Ed ha aggiunto che se si fosse optato per un forno elettrico ecocompatibile forse oggi i problemi del sito genovese non esisterebbero.
La scorsa settimana l’azienda ha richiesto la messa in cassa integrazione per tredici settimane, a decorrere dal 19 novembre, per 2000 dipendenti dell’area a freddo dello stabilimento di Taranto.
(Giovanna Profumo – disegno di Guido Rosato)