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venerdì 3 luglio 2015

OLI 427: GRECIA - Chi il conto non paga mai

Qualunque sarà il risultato del referendum, segnerà l’Europa per sempre. Tra chi invoca i compiti a casa, e chi maledice questa Europa matrigna, a soffrire è intanto il popolo greco, ma c’è qualcuno che di certo non pagherà il conto: gli armatori greci. A febbraio Tsipras ventilò l’ipotesi che per rimettere in sesto i conti di Atene si sarebbe dovuto tassare i ricchissimi tycoon, 60 famiglie che detengono il 16% del mercato globale e generano il 7% del Pil ellenico, con la prima flotta al mondo per tonnellaggio, un primato riconquistato nel 2013 dopo averlo ceduto al Giappone al tempo della crisi e primo paese per ordini di navi da consegnare nei prossimi anni.
Le fortune e le risorse accumulate nei decenni hanno fatto sì che gli armatori potessero aumentare sempre di più le proprie attività e i propri interessi fuori dal paese, centoquaranta miliardi di utili negli ultimi dieci anni, ma anche mantenere una salda presenza in patria. Quasi cinquemila navi dal valore complessivo di cento miliardi permettono di avere il sedici per cento del mercato e di dare lavoro a duecentocinquantamila persone, perciò gli oligarchi hanno risposto con calma olimpica: “Leviamo l’ancora e prendiamo residenza fiscale altrove. C’è solo l’imbarazzo della scelta: Monaco, Dubai, Singapore, oppure in Germania, dove ci sono agevolazioni fiscali fortissime …” hanno minacciato. Con più di nove miliardi di euro di investimenti lo scorso anno, gli armatori greci hanno poi dato un segnale inequivocabile a chi riteneva che la crisi storica che sta attraversando la Grecia li avrebbe affondati, ormai dominano la scena mondiale da più di cento anni. Perché?
Perché dietro al loro successo vi è un regime fiscale eccezionalmente a loro favore, addirittura in Costituzione: infatti, in base all’articolo 107, gli armatori greci sono esentati dal dover pagare tasse sui profitti che provengono dalle proprie attività all’estero. Oltre ad essere essere armatori, sono petrolieri, editori, titolari di lavori pubblici nel Paese senza gare di appalto, possiedono squadre di calcio. Godono di Iva agevolata, ma soprattutto dell’esenzione fiscale sui profitti generati all’estero garantiti per la legge costituzionale del 1967.
Mettere in discussione l’impossibile per Tsipras, applicare ciò che con la morbida legge sul blind trust del 2009 non è riuscito ai conservatori, mentre tutte le inchieste giudiziarie passate sul contrabbando di petrolio non hanno prodotto condannati: una“patrimoniale” di due miliardi e mezzo sui supermiliardari e altri due miliardi e mezzo dal recupero di tasse arretrate. Un provvedimento cucito su misura per i potentissimi armatori. “I nostri cittadini hanno pagato un prezzo carissimo alla crisi – aveva detto il premier mesi fa in Parlamento –  ora il conto lo devono saldare quelli che non hanno mai messo mano al portafoglio”. Già nel 2012, con la Grecia sull’orlo del default, l’ex premier Samaras chiese ai super-ricchi una “tassa temporanea di emergenza”, 500 milioni ad oggi. Perché Tsipras non è andato avanti?
Nella disputa Grecia - Ue si parla soprattutto di pensionati, che sicuramente non hanno una quotidianità facile, ma della metà dei giovani senza lavoro non si parla. Del loro futuro, nemmeno.
(Bianca Vergati - foto di Giovanna Profumo e Ferdinando Bonora)

sabato 15 febbraio 2014

OLI 399: GRECIA - La fantapolitica che vede chiaro

Atene, monumento all'ultima emissione della dracma
L’ultimo giallo di Petros Marxaris (Pane, Istruzione Libertà, ancora non tradotto in Italia) inizia con una visione onirica: è l’ultimo dell’anno 2013, e la famiglia del commissario Charitos, riunita attorno al televisore, assiste ai festeggiamenti che si svolgono nella principale piazza di Atene. Ma non è un Capodanno come gli altri: col primo gennaio 2014 la Grecia tornerà alla dracma!
La moglie del commissario ha in mano un biglietto da mille dracme, e lo accarezza dolcemente. La mano addirittura le trema per l’emozione. Sussurra: “Lo credereste? Mi è mancata!”, ma la figlia la gela: “Con quelle mille dracme domani non riuscirai nemmeno a berti un caffè!
Improvvisamente lo schermo si riempie dell’immagine di migliaia di finti biglietti da cento, mille, cinquecento dracme lanciati dai palazzi. Uno speaker grida entusiasta: “Dal cielo piovono dracme!”. La gente nella piazza grida evviva!
Quando tutta la famiglia Charitos si reca a Syntagma per vedere quel che accade, si trova di fronte a qualcosa di meno trionfale: non più di mille persone, disoccupati o precari “che attendono di essere pagati da mesi”, che gridano slogan: “Finealla schiavitù dell’Euro!”, “Se dobbiamo vivere poveri, meglio con la dracma!”, “vogliamo lanciare un messaggio agli altri Paesi del Sud: siamo qui uniti per combattere, Greci, Italiani, Spagnoli, Portoghesi, Ciprioti!” … Pochi passanti battono le mani, e qualcuno grida “Bravo!”
Mercatino a Ikaria
Improvvisamente arriva un gruppetto di pensionati che gridano slogan diversi: “Ridateci L’Euro!”, “Con l’Euro prendiamo briciole, ma con la dracma non prenderemo nulla!”. Alle loro spalle vite da gastarbeiter in Germania. Guardano a quelli che manifestano per la dracma come a gente ‘cresciuta nella bambagia’ che pensa di salvarsi dallo spettro della povertà rifugiandosi nei sogni.
I due gruppi si affrontano insultandosi, si rischia perfino lo scontro fisico. In altro punto del libro si vedrà un assalto dell'ultra destra a un alloggio di immigrati, sotto lo sguardo passivo e indulgente dei passanti.
Una fantapolitica molto realistica, che descrive bene le emozioni che corrono per la Grecia, dove le persone vivono condizioni terribili e divise nel più assoluto buio politico. Tutti sanno che non c’è nessuna base da cui ripartire. Alle spalle un benessere appena intravisto, cresciuto sulla corruzione, sul clientelismo, sul debito incontrollato, su una crescita edilizia senza regole, sul concentramento della popolazione nelle città, sull’abbandono dell’agricoltura e delle attività che potevano derivarne, sull’illusione di un turismo ‘salva tutto’.
Sulla nave Mitilini
Ora che quel poco che c’era è stato raso al suolo da un’Europa cieca e indifferente per le conseguenze sociali e politiche dell’accanimento con cui ha agito, anche le navi che portano gli indispensabili turisti da un’isola all’altra stanno andando a pezzi.
La salvezza possibile sta in Tsipras? Nell’intervista rilasciata a Repubblica lo scorso 7 febbraio pare voler buttare colpe, problemi e soluzioni tutti all’esterno. Così la crisi “è figlia delle asimmetrie dell’unione monetaria”, i movimenti populisti che stanno crescendo ovunque (in Grecia l’inquietante Alba Dorata è ormai il terzo partito) “sono il prodotto politico del liberismo”, e tutte le misure europee hanno il solo scopo di “salvare le banche che avevano titoli di Stato dei paesi altamente indebitati “.
Nessun accenno all’altra faccia della luna, quella delle responsabilità nazionali, del patto che il potere politico ha stretto con la gente: consenso e voti, in cambio di clientelismo, privilegi, assenza di controlli sugli atti illeciti, tolleranza per l’evasione fiscale.
Nessun accenno all’incapacità della sinistra greca di formulare prospettive credibili, fondate sui dati di fatto, oltre gli slogan e i vittimismi.
(Paola Pierantoni - fotografie dell'autrice)

venerdì 7 febbraio 2014

OLI 398: GRECIA - Tra vecchi slogan e la 'novità' Tsipras

“Pane, cultura, libertà” è lo slogan che identifica la lotta del Politecnico di Atene: quaranta anni fa, il 14 novembre 1973, gli studenti greci occuparono l’Università, e diedero vita ad una stazione radiofonica libera. Il primo messaggio fu: “Qui Politecnico! Popolo della Grecia il Politecnico è il portabandiera della nostra lotta, della vostra lotta, della nostra lotta comune contro la ditattura e per la democrazia”. Durò tre giorni.
Il 17 novembre i tanks dell’esercito misero fine alla rivolta, 23 studenti morirono.
Dopo la cacciata dei colonnelli questa data è diventata festa nazionale. Ma è stata anche subito adottata dalla organizzazione terroristica “17 Novembre”, nata nel 1975: all’attivo 25 omicidi ‘mirati’ e moltissimi tentati omicidi, ferimenti, attentati e rapine di ‘autofinanziamento’. Fu smantellata solo alla vigilia dei giochi olimpici del 2004.
E’ necessario andare così indietro per capire qualche cosa della Grecia di oggi? Sì, e in direzione non scontata.
Le tre parole del Politecnico, nella Grecia della crisi, sono tornate di moda: oggi campeggiano, come quaranta anni fa, sugli striscioni che fasciano tutta la zona universitaria.
Collegamento comprensibile, dato il salto nella povertà che la Grecia ha fatto in questi anni.
immagine da internet
Ma quando le usa Petros Marxaris (vedi anche Oli 324 ) per dare il titolo al suo ultimo giallo ambientato nella Grecia della crisi economica, questo riferimento si colora di una profonda critica su quella che i greci chiamano 'la generazione del Politecnico', cioè i protagonisti di quella epica vicenda.
Nel libro, i figli di alcuni di questi padri ‘eroici’ mettono a nudo le menzogne e le compromissioni in cui hanno visto incistarsi le vite dei genitori, che si sono fatti scudo di una breve stagione di lotta per conquistare posizioni di privilegio.
Chiedo a un’amica ateniese un parere su questo quadro disincantato e pessimista.
Lei mi dice di condividerlo. La sinistra in Grecia si è fatta scudo della retorica sui passati eroismi per coprire una gestione del potere corrotta, collusa, clientelare. Il Pasok si è alternato al governo col partito di centro destra, Nèa Dimokratìa, e ne condivide le colpe.
Un altro amico mi dice che non ce la fa nemmeno più ad ascoltare le canzoni e le musiche (spesso bellissime) che hanno accompagnato e celebrato la stagione della lotta contro la dittaura dei colonnelli, per l’uso retorico che poi  ne è stato fatto.
Non posso evitare di chiedere alla mia amica che ne pensi di Tsipras, il leader del partito Syriza che, come dicono i giornali, 'ha sedotto la sinistra europea' che lo ha candidato alla presidenza della Commissione Europea.
Mi dice: “Tsipras è un populista. E' una figura molto debole. E l'80 % degli aderenti a Syriza è gente che prima stava nel Pasok. Parlando con la gente in giro si vede che ha paura di votarlo, ma non vedono un'altra soluzione. La gente pensa di votarlo come atto di rabbia. Ormai la gente e' disperata e pensa: cosa abbiamo di più da perdere? Al massimo torniamo alla dracma. Syriza conta sui disperati. Dice di essere ‘contro il sistema politico’, contro ‘il capitale’, ma poi rassicura la massa (per la gran parte impiegati nel settore pubblico, in grado di paralizzare lo stato con gli scioperi) dicendo che ‘nessuno perderà il proprio posto’. Non parla di controlli, di valutazione. Dice che il modello da seguire è Brasile ... 
Dice che il modello europeo, che prima era un sogno, ormai e' diventato un' incubo, le tasse sono devastanti e la gente non ce la fa piu'. E quindi? 
Dice che mandera' via la Troika. Come? Non ho ben capito. 
Dice che la Merkel è la 'cattiva' della situazione. Ma come siamo arrivati alla Merkel?".
(Paola Pierantoni - Fotografia dell'autrice)