martedì 12 giugno 2012

OLI 347: LETTERE - Anche la malattia discrimina

Negli ultimi tempi, ammettiamolo, la mia salute non è stata un granchè: sono stata operata due volte in poco più di un mese, sempre con metodologie a bassa invasività ma, insomma, mi sono beccata due anestesie totali in meno di 40 giorni. La seconda operazione, in particolare, è stata abbastanza impegnativa e il decorso post operatorio alquanto doloroso. Sono stata dimessa due giorni dopo l’operazione e attualmente sono ospite a casa di mia madre, che, nonostante non sia più giovane e a sua volta piena di acciacchi, è ben contenta di potersi occupare di me, aiutata da mia sorella, un’infermiera ad alta professionalità che mi sorveglia con occhio d’aquila con la collaborazione di altri amici e parenti. Tutta l’organizzazione funziona anche perché, a parte un gatto viziato, non ho altre responsabilità familiari. Mi domando, però, cosa sarebbe successo se, appunto, non avessi potuto contare su una rete di relazioni personali così ricca. Mi domando come avrei potuto cavarmela se fossi stata anziana e sola, oppure se fossi stata una donna giovane con figli che dipendevano da me. Sarei riuscita a stare a riposo completo (che, lo garantisco, è necessario!) se le urgenze della vita familiare fossero state lì, sotto i miei occhi? Anche la malattia discrimina per genere: se una donna sta a casa, malata o sana che sia, ci si aspetta che comunque si prenda cura degli altri e sembra quasi innaturale che qualcuno si prenda cura di lei. Anche in questi casi si misura, dunque, come le donne paghino sempre il doppio per il peso del lavoro di cura che in larga misura sostengono: pagano in termini di maggiore fatica, ma anche di minore assistenza, perché, se, come giusto, l’ospedale deve essere il luogo degli interventi su malattie acute, allora è sulle famiglie e quindi sulle donne che ricade interamente il peso dell’assistenza post acuta. Accorciare i tempi di degenza, aumentare la produttività degli ospedali è senz’altro buona politica, ma fa male alle donne se non si accompagna al trasferimento di risorse sul territorio per organizzare una rete credibile di servizi rivolti alle fasi post acute della malattia. Guardare il mondo con occhi di donna vuol dire anche questo.
(Paola Repetto - Disegno di Guido Rosato)

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