martedì 11 ottobre 2011

OLI 315: IMMIGRAZIONE - Nazionale di calcio e sport nella società multietnica

Disegno di Guido Rosato
La nazionale italiana di calcio ha convocato l’attaccante della Roma Osvaldo nato in Argentina, da genitori argentini, ma con avi italiani, e il deputato leghista Davide Cavallotto ha criticato la convocazione. Osvaldo aveva però già giocato nel 2007 con la nazionale italiana di calcio Under 21, è dunque italiano fin da allora e forse ancora prima. Tutti i “buoni” calciatori italiani dovrebbero avere il diritto di essere convocati e di giocare in nazionale a prescindere dal luogo dove sono nati. Le critiche leghiste sono dunque fuori tempo, ma la cosa interessante è stata la risposta di Osvaldo: “Le critiche di qualche politico verso la mia convocazione in nazionale? Io sono più italiano di chi ha polemizzato”. Una risposta molto appropriata, è strano, infatti, che certe critiche che riguardano la nazionale italiana siano fatte da coloro che non si sentono italiani, ma si sentono di appartenere ad una fantastica nazione denominata “padania”, e che parlano continuamente di secessione minacciando l’unità nazionale. Non solo Osvaldo (che è italiano), ma moltissimi immigrati che non hanno ancora la cittadinanza italiana si sentono molto più italiani dei leghisti.
Successivamente il deputato leghista ha dichiarato: “Non ce l'ho con Osvaldo (...) mi aspetterei che la Nazionale desse spazio ai giovani nati qui”. Che ne è dell’attività agonistica di centinaia di migliaia di giovani che vivono in Italia e che frequentano le nostre scuole ma che non sono nati qui? Che ne è di quelli nati e cresciuti in Italia da genitori immigrati e che non hanno ancora la cittadinanza italiana?
Mauro Valeri, docente universitario - autore di "Black Italians. Atleti neri in maglia azzurra" - Palombi editore - scrive: “Le norme di gran parte delle federazioni sportive sono concepite per impedire o comunque rendere particolarmente difficile la carriera agonistica per uno straniero e per i suoi figli, pur se nati e cresciuti in Italia. Statisticamente, i ragazzi e le ragazze di seconda generazione che praticano sport, sono relativamente pochi. Una discriminazione a tutti gli effetti, che viene in genere risolta soltanto in tribunale, anche perché le federazioni la “giustificano” rimandando tutte le responsabilità all’attuale legge sull’acquisizione della cittadinanza in vigore nel nostro paese. A dire il vero, di certo gran parte delle federazioni non solo non hanno provato a cambiare la situazione, ma hanno finito per avvalorare quello che è il delirio originario: intendere la tutela dei vivai come la tutela dei soli italiani presenti nei vivai, e non come tutela di tutti coloro che sono presenti nei vivai” (www.italiarazzismo.it  9 settembre 2011). Il calcio e tutti gli sport devono essere luoghi di inclusione e non di esclusione, occorre recuperarne i valori ed i principi originari.
(Saleh Zaghloul)

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