martedì 27 settembre 2011

OLI 313: GRECIA - Frammenti

“EΝΟΙΚΙΑΣΕΤAI “, “ΠΟΛΕΙΤΑΙ “, si affitta, si vende. Esercizi commerciali, ristoranti, caffè che hanno cessato l’attività, espongono cartelli che non avranno risposta.
Automobili di lusso, requisite perché i mutui non sono stati pagati, si accumulano a migliaia, in attesa di compratori che non verranno, nonostante i prezzi stracciati. Illusioni di ricchezza finite al macero: “non sanno più dove metterle”.
Come uscirne non si sa, perché qui non produciamo niente. Nemmeno la plastica delle carte di identità. Non abbiamo mai prodotto niente. Qui si è campato di impiego pubblico, posti di lavoro dati in cambio di voti, e corruzione
La corruzione è endemica, è ovunque. Se voglio che l’impiegato comunale si giri, prenda in mano il fascicolo che ha nell’armadio, e ci metta il timbro che deve, devo mettergli davanti un biglietto da cinquanta euro”.
In piazza a protestare non ci vado, insieme agli anarchici in Harley Davidson, e agli impiegati pubblici che hanno fatto i parassiti e vogliono continuare a farlo.”
“La gente guarda la televisione, e maledice le cose che ha fatto fino a ieri, e che riprenderà a fare appena potrà
Papandreu è lì e fa errori, ma cosa può fare? La crisi è mondiale, e la governa la finanza. Non hanno più senso né destra né sinistra. Nessuno ha soluzioni.
"Ci hanno illuso della ricchezza, e ora dobbiamo imparare di nuovo a vivere in povertà, come facevano i nostri nonni"
In periferia, nelle campagne, sulle isole, ancora si sopravvive, qui ad Atene la miseria dilaga

Ma quasi metà dei greci è ormai concentrata in due città, Atene e Salonicco, fino a poco fa miraggio di benessere economico, ora condensati di povertà. Per la prima volta da anni il chiosco che vende cocomeri di un amico ha chiuso la stagione in rosso: anche l’anguria estiva è diventata un genere superfluo.
Campagne abbandonate, e isole spopolate, salvo che per la stagione estiva, quando si cerca di sfruttare al massimo l’unica industria nazionale, il turismo.
L’amico Ghiannis, circa cinquanta anni, girando per il villaggio di Manganitis nell’isola di Ikaria mi indica quello che non c’è più:
Qui c’era il forno, una taverna, poi là il fabbro, e più in là il macellaio …
Ma quanti eravate?
Fai conto che alla scuola del paese eravamo in 120 bambini. Ora d’inverno siamo una cinquantina, gente che vive della pensione, marinai, emigranti che sono tornati …
Tornati da tutto il mondo: qui incontri gente che ha passato la vita a New York, Chicago, Vancouver, Adelaide …
In quanto a lui vive un po’ di musica, un po’ di pesca, un po’ di agricoltura.

Nello stesso paese un altro amico, Panaghiotis, non ancora trenta anni, un anno fa ha deciso di abbandonare Atene, e costruire qui la sua vita con la sua ragazza. Anche lui musicista, ha rilevato l’ultimo negozio del paese, quello in cui puoi trovare “tutto”, e che fa anche da bar, da luogo di incontro, dove chiacchieri, bevi e mangi spuntini: “Ad Atene non si può più vivere, qui almeno riesci a mangiare, puoi coltivarti qualcosa nell’orto, pescarti un pesce, puoi vivere del minimo”.
E il minimo, visto coi nostri occhi, è davvero minimo. Ridotte all’essenziale le materie prime con cui cucinare, e più che all’essenziale gli svaghi: chiacchierare davanti a un bicchiere, passare la notte a fare musica. E poi c’è il mare.
(Paola Pierantoni - fotografie dell'autrice)

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