martedì 24 maggio 2011

OLI 302: SOCIETA’ – Questo non è un paese…

Una telefonata annuncia da Torino che un valente giovane ingegnere, trentenne circa, simpatico ed intraprendente, ha trovato un lavoro con contratto a termine, non si può certo specificare alla prima di che tipo, in una piccola azienda della magnificata città del nord.
Dopo aver brillantemente conseguito la laurea a Palermo, di pregio nel campo, 5 anni fa, dopo aver svolto svariati lavori e lavoretti, spazianti dall’elettronica alla baristica intensiva, dopo aver coltivato sogni di autonomizzazione e maturazione nella terra di nascita e d’origine delle sue origini, compresi affetti, attaccamenti, passioni, in particolare per la musica, dopo mesi di noia e sconsolazione, dopo aver contato tutte le pietre che collegano la casa alla piazza e la piazza alla casa e che sono il tracciato che fanno dire ai paesani di un disoccupato che “quello lì, come tanti, non avendo da fare va a casa e mangia”, ha preso la decisione, violenta come uno strappo, dolorosa e necessaria, ma anche aperta alla conoscenza e alla curiosità, di salire al nord, di prendere il metaforico treno del sole, che non esiste più se non in una canzone e in una montagna di ricordi che si vuole rimuovere dalla storia e dalla coscienza collettiva, sostituito dai viaggi spezzati delle andate e ritorno, dei voli low-cost, dei traghetti super veloci, dei week end rubati, delle albe in treno, della santificazione delle feste, delle passeggiate con gli amici. Come se si volesse annullare la condizione di emigrato; come se la nuova condizione di immigrato non dovesse essere più una rottura, una beanza oscura, e quindi si potesse annullare, con i nuovi potenti mezzi della tecnologia, lo spazio angosciante e infinito che separa e unisce l’immigrato e l’emigrato. Sia per i giovani siciliani sia per i giovani africani.
Lo spazio di pensieri e di sentimenti che si è voluto annullare nel pubblico sentire e nel pubblico manipolare affinché la paura del diverso desse qualche appiglio alle nostre fragili identità e la libertà potesse realizzarsi anche nell’essere liberamente razzisti.
Buona fortuna giovane amico ingegnere. Che tu possa essere padrone della tua vita. Che tu possa crearti la tua vita. Non sei solo. Ci sono milioni di giovani in ricerca che vivono sottomissione e umiliazione, ma che, come te e come i giovani di Plaza della Catalunya e di Puerta del Sol, possono ritrovare la strada dell’indignazione, dell’impegno, del potere dell’essere insieme, dell’allegria e della libertà non regalata e non comprata.
Da alcuni anni circa duecentomila persone, in grande maggioranza giovani, partono dal sud Italia per andare a cercare lavoro e fortuna nel Nord Italia o in Europa. Quasi tutti migliorano la loro condizione.

Qualcuno ne soffre al punto di perdersi. Una parte ritorna e ricostruisce una presenza più esperta nella sua terra. Questo è un bene, ma la sua terra è sempre la stessa. Un luogo di bellezza indicibile, rubata alla gioventù, ancorata a un mostro che governa spreco, inefficienza, stagnazione. Ma forse cambierà.
Nel frattempo Report ci informa che dal 2000 ogni anno fra i 30 i 45 mila giovani, post.doc, ricercatori, studiosi e scienziati, prendono la via dell’estero.
Che di solito al’estero non esistono contratti precari e annichilenti. Che la remunerazione, salari, borse, benefit sociali, è degna di questo nome. E si vedono i giovani intervistati, che sembrano avere in loro la forza della rappresentanza, parlare con soddisfazione e pienezza di queste esperienze.
Nonostante la nostalgia, che depurata, in questo caso è sentimento positivo.
I cervelli in fuga, nel demente gergo mediatico, che quando li si nomina non si può fare a meno di pensare agli alluci che rimangono qua.
Ma se tante giovani persone sono così valorizzate all’estero, vuol dire che il nostro sistema scolastico non è poi così male. E poi senza questa ricchezza di energia e di creatività, che dovrebbero associarsi al lavoro, che ne è dell’Italia, che ne sarà?
L’Italia non è un paese per…
(Angelo Guarnieri)

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