martedì 19 aprile 2011

OLI 298: STORIA - La guerra di un soldato in Cecenia

Arkadij Babčenko pare un foglio bianco. E’ inespressivo come una statua. I ricordi a cui accenna lo trapassano come brevi note informative che non sembrano avere a che fare con la sua vita. Laddove il termine “sua” implica relazioni affettive, emozioni, dolore e felicità. E’ stato invitato a Palazzo Ducale, il 15 aprile, nell’ambito di La Storia in Piazza per presentare il libro La guerra di un soldato in Cecenia (ed. Mondadori)
L’incontro è stato fortemente voluto dal Comitato per la pace nel Caucaso e dall’associazione Mondo in cammino. Accanto a Babčenko, Lucio Caracciolo e la traduttrice del libro Maria Elena Murdaca.
L’autore racconta di esser partito di leva, in Siberia, a diciassette anni. Passati sei mesi, con altri compagni, viene convocato dai superiori: “Andrete a servire al Sud. Lì fa caldo, ci sono le mele. Vi piacerà” . Che il frutteto fosse la Cecenia è stato detto loro all’ultimo momento. Era il 1996. Arkadij Babčenko spiega ai presenti l’assenza di tempo, l’impossibilità di uno spazio per farsi domande sulle ragioni della guerra. “Ci sei e devi pensare solo a sopravvivere”. E guarda il pubblico “quando una persona è stata in guerra cambia la sua psicologia, la sua coscienza rimane in guerra, torna solo il corpo. Vai in giro per questo mondo, lo guardi e non capisci niente. Ci sono due ore di volo tra Mosca e la Cecenia. A due ore di distanza da Mosca ci sono montagne di cadaveri che bruciano”.
Ma Babčenko ci tornerà una seconda volta. Da volontario. “Siamo tornati a migliaia. Era come una droga. La guerra è come un virus. Siamo tutti portatori sani. E’ la cosa più bella che mi è capitata, ma anche la più brutta”. Racconta del nonnismo “che nella prima guerra Cecena aveva superato i limiti” e dei battaglioni penali. Della moralità e della spietatezza capaci di animare lo stesso individuo in una logica capovolta per la quale quello che da noi è inaccettabile in guerra diventa normale. Ci tornerà da corrispondente di guerra nel 2002 e nel 2003 . Babčenko parla di un conflitto che si è esteso ad altre repubbliche caucasiche e di una Cecenia dominata Kadyrov “personaggio singolare, fatto a modo suo, un tagliatore di teste, imposto dal Cremilino, uno che ha ucciso tutti i suoi oppositori”.
Il quadro che offre dell’opinione pubblica russa è desolante: “la maggior parte è convinta che abbiano fatto bene ad ammazzare la Anna Politkovskaja” e racconta del preoccupante aumento dei movimenti neofascisti, insieme all’integralismo islamico.
Oggi Babčenko è giornalista del Novaja Gazeta . Elenca sulle dita della mano i 6 colleghi uccisi negli ultimi 11 anni, ultima vittima una stagista del quotidiano, due anni fa.
L’autore si occupa della rivista letteraria Isskustvo Voynj – L’Arte della Guerra, uno spazio “dei veterani e per i veterani” in cui grazie alla scrittura ci si racconta, e si prova a guarire dalla guerra.
(Giovanna Profumo)

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