martedì 18 gennaio 2011

OLI 285: TUNISIA - La rabbia ha radici lontane



Foto di Monica Profumo
La crisi tunisina non ha catalizzato l’attenzione mediatica, se non come un fatto di politica estera in un paese lontano. In realtà la Tunisia è a 20 minuti di volo dalla Sicilia ed i rapporti economici con l’Italia sono fitti. Un riepilogo dei fatti: la rivolta si è propagata attraverso i social network e con il tam tam dei cellulari, la rabbia del popolo tunisino è scoppiata dopo la morte di Mohamed Buaziz, il giovane laureato che vendeva la frutta e si è dato fuoco dopo che la polizia gli aveva sequestrato la merce e lo aveva umiliato schiaffeggiandolo. Gli scontri più sanguinosi sono scoppiati intorno alla zona di Kasserine; gli incidenti sono segnalati e localizzati direttamente dai cittadini tunisini a questo indirizzo http://tunisie.crowdmap.com/.
Il giovane Buaziz è la prima vittima della crisi; alla fine, il bilancio ammonta a 78 morti e 94 feriti. Il presidente Ben Ali sopraffatto dagli eventi infine è fuggito in Arabia Saudita ed il governo è passato, provvisoriamente, al premier Ghannouchi.
La situazione in Tunisia è critica ormai da qualche anno. Un quadro dei problemi che hanno attanagliato recentemente il paese viene offerto da Gabriele del Grande ne Il mare di mezzo al tempo dei respingimenti (Infinito Edizioni, 2009), che racconta la grave situazione di uno stato sottoposto all’arbitrio del regime ed agli abusi della polizia
Foto di Monica Profumo
Nel 2008 la regione di Gafsa, quasi al confine con l’Algeria, fu scossa da una violenta insurrezione, che ebbe scarsa rilevanza nella stampa internazionale. A Gafsa si trova uno dei più grandi giacimenti di fosfati al mondo, scoperto durante l’occupazione coloniale francese. L’economia della regione fu stravolta dall’apertura delle miniere: arrivò manodopera da tutto il Grande Maghreb e perfino dall’Italia. La concentrazione di lavoratori diede origine alla nascita del sindacato tunisino.
Le miniere, nazionalizzate dopo il 1957, andavano a gonfie vele al tempo dell'insurrezione del 2008 e la Tunisia era il quinto paese produttore al mondo. Ma, racconta Del Grande, le cose non andavano altrettanto bene per i lavoratori: il giacimento era in preda ad una crisi ventennale, la modernizzazione aveva aumentato la produzione dimezzando il personale, il tasso di disoccupazione cresceva senza sosta, mentre qualunque altra riconversione dell’area era ormai impossibile: l’inquinamento aveva avvelenato le falde acquifere e reso impraticabile agricoltura ed allevamento.
Anche la rivolta del 2008, come quella attuale, scoppiò tra i giovani del paese ed ebbe come scintilla l’accesso al lavoro: la Compagnia dei Fosfati (Cpg) indisse un concorso pubblico per l’assegnazione di 80 posti. Quando vennero resi pubblici i risultati, fu chiaro che il concorso era truccato e che erano stati selezionati soltanto parenti e raccomandati. I giovani disoccupati occuparono tutta la città di Redeyef, raccogliendo la solidarietà della popolazione. Le autorità locali diedero inizio ad un negoziato che, dopo un esordio promettente, si interruppe, mentre i disoccupati furono sgomberati. A Tunisi nacque il Comitato nazionale di solidarietà al popolo delle miniere. Il fermento e la partecipazione intorno alla rivolta allarmarono il regime e furono quindi sedati dall’intervento della polizia (7 aprile 2008). Ne seguì l’arresto di una trentina di uomini che erano coinvolti nel movimento. Agli arresti scoppiò uno sciopero generale, alla fine, grazie alla protesta popolare, i sindacalisti arrestati furono rilasciati.
Il ricordo delle sommosse del 2008 deve aver giocato un ruolo importante nell’accelerare i tempi e amplificare la violenza della reazione di governo durante la crisi attuale. (Segue)
(Eleana Marullo)

Nessun commento:

Posta un commento