martedì 30 novembre 2010

OLI 280: CULTURA – Mercanti nel Tempio


Gran bella mostra, quella inaugurata venerdì scorso a Genova nell’Appartamento del Doge.
Mediterraneo. Da Courbet a Monet a Matisse allinea circa ottanta opere provenienti da una quarantina di musei e collezioni private, con capolavori di Courbet, Cézanne, Monet, Renoir, Van Gogh, Munch, Braque, Matisse e molti altri, in un viaggio appassionante attraverso i diversi modi di sentire e rappresentare la Francia mediterranea, dalla metà del Settecento fino ai primi decenni del Novecento, con un solo sconfinamento in Liguria nella Bordighera di Claude Monet.
Che non vi sia nulla di genovese poco importa. Anzi: si è finalmente superata quella trita concezione che per anni ha preteso eventi incentrati solo su realtà locali, come se Genova, prima ancora di essere dov’è e com’è, non appartenesse al mondo intero e come tale non potesse essere in grado di ospitare ciò che in varie parti del globo è stato prodotto nei secoli.
Per informazioni e approfondimenti si vedano le pagine dedicate all’evento (e alla splendida mostra collaterale di Piero Guccione: una vera scoperta) sull’elegante sito di Palazzo Ducale:
Il tutto è stato curato da Marco Goldin, direttore di Linea d’ombra, la società da lui fondata nel 1996, con sede a Treviso. Una ben organizzata – e ben promossa – azienda che produce da anni mostre di successo – da Treviso a Brescia, da Torino a Rimini, da Passariano a San Marino e ora anche a Genova – con un abile marketing che attira folle di visitatori e rende i beni culturali risorsa innanzitutto economica.
Goldin, ottimo affabulatore, ha illustrato nell’affollato salone del Maggior Consiglio cosa aspettava di lì a poco il pubblico, insistendo in particolare sull’ultima stanza che offre tre meraviglie di Monet, Van Gogh e Cézanne a colpire e emozionare.
Ma la visita in realtà non finisce lì: al termine del percorso espositivo si arriva come di consueto al breve angusto passaggio che immette nella cappella dogale, che si percorre sempre con la curiosità di scoprire come i responsabili dell’allestimento hanno trattato tale spazio straordinario: se lasciato sgombro a farsi ammirare nella sua sontuosità carica d’arte e di storia, o arricchito invece da altre opere che dialogano con esso in accordo o per contrasto.
Niente di tutto ciò! Per la prima volta (e si spera sia l’ultima) la cappella è diventata la bottega della mostra. Tutta ingombra di vetrine, scaffali e banconi dove si espongono e vendono libri, tazze, borse e altri gadget di Linea d’ombra, con gli affreschi di Giambattista Carlone e Giulio Benso seminascosti e la Madonna Regina, di Francesco Schiaffino, che fa capolino soffocata sullo sfondo. Nella parete d’ingresso, la scena con Cristoforo Colombo che cristianizza l’America è scomparsa, occultata dalla struttura cui è appeso il campionario delle riproduzioni in vendita. Al centro del vano troneggia un espositore, quasi un moderno badalone sul quale, invece di antifonari per il canto dei religiosi, son poggiate copie del catalogo da sfogliare per invogliarne l’acquisto.
Un pugno nello stomaco. Un vero peccato che una positiva esperienza di visita debba concludersi per molti (anche se non per tutti: le sensibilità individuali variano da persona a persona) nello sconcerto e nell’irritazione.
Nulla da eccepire sulle attività commerciali a integrazione e contorno di eventi culturali, ma fa specie che chi fa professione di cultura – e chi dovrebbe presiedere e chi dovrebbe sovrintendere – non colga la barbarie di un liberismo sempre più spinto che consente di far tutto dappertutto nella massima naturalezza, quando vi sono invece posti che per i loro caratteri non lo consentono. La cappella del Ducale è uno di questi ed è davvero indecente organizzarvi un mercato che si potrebbe tenere altrove (nel senso etimologico del termine: in decens, non decente, che offende il decoro del luogo).
E sarà anche il caso, più in generale, di avviare una riflessione pubblica sull’ineluttabilità o meno degli attuali modi di fruizione di Palazzo Ducale a fini espositivi: in particolare, sul tamponamento “provvisorio” del loggiato che da ormai troppi anni ne preclude la godibilità e sulle invadenti pannellature che nascondono le ricche pareti dell’appartamento dogale, mortificandone la dignità.
Per ora rassegniamoci (e indigniamoci): fino a maggio, per contemplare la cappella non ci resta che la realtà virtuale…
Illustrazioni tratte dal sito http://www.palazzoducale.genova.it

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